E tu cosa ne pensi, Alessandro?
Questo ultimo passo fa parte del corso della nostra vita. La sua, come lui stesso ha sempre ripetuto, è stata ricca, felice e lunga. Per noi, che possiamo o dobbiamo ancora sostare qui per un momento, è doloroso aver perso un amico straordinario e un faro di umanità.
Durante tutta la mia vita adulta, Alessandro Marchetti è stato per me un punto di riferimento essenziale, sia artisticamente che umanamente. Alessandro era il teatro. Era un artista fino al midollo: regista, attore, direttore teatrale, pittore, scultore.
Ci siamo incontrati per la prima volta nel 1985, quando ci ha tenuto un corso di due settimane sulla Commedia dell'Arte mentre eravamo al secondo anno di formazione all'Accademia Dimitri di Verscio, in Svizzera. Ci siamo capiti subito: per noi era salito sul palco un grande Maestro del teatro e lui probabilmente era rimasto incantato dalla nostra energia traboccante, pronta a scardinare il mondo dai suoi punti fissi[1]. La sua rappresentazione de La maschera e il volto, in cui si esibiva da solo sul palco con le sue maschere della Commedia dell'Arte, conducendo il pubblico della sala gremita in un viaggio attraverso la storia del teatro, è stata una delle poche esperienze teatrali sensazionali della mia vita che hanno plasmato la mia visione del teatro e il mio lavoro.
Appena terminata la formazione, ci siamo dedicati alla produzione del nostro primo spettacolo (PALPITATION, 1987), e siamo riusciti effettivamente a convincere Alessandro a dirigerlo. Ne è nato uno spettacolo che ci ha aperto le porte dei teatri e dei festival di tutto il mondo, conquistando i cuori degli spettatori.
Guardando indietro, con la chiarezza che offre la distanza temporale, si potrebbe dire che Alessandro, specialista della Commedia dell'Arte e geniale Arlecchino, più tardi straordinario Pantalone, ci ha donato in PALPITATION una particolare forma del passato, un modo giocoso ma anche codificato di presentare i personaggi e sviluppare le loro relazioni e storie. In PALPITATION si poteva ancora riconoscere la Commedia dell'Arte che, con una certa innocenza proveniente da un passato lontano, illuminava il nostro mondo - un mondo che stava per perdere definitivamente la sua innocenza.
PALPITATION raccontava senza parole la storia d'amore tra un uomo e una donna - dove la donna era alta più di due metri e l'uomo, come stimò il critico del più importante giornale colombiano El Tiempo, era alto al massimo la metà di lei. Una storia apparentemente semplice con un lieto fine, personaggi e movimenti che erano reminiscenze di tempi ormai lontani. Con le Storie ErotiComiche delle Mille e una Notte osammo poi parlare e sviluppammo in ODISSEA e più tardi in HA!Hamlet il teatro giocoso ereditato da Alessandro fino a farlo diventare il nostro stile personale, portandolo, per così dire, nel presente.
In nessuna delle innumerevoli rappresentazioni che ho visto in tutto il mondo, ho mai incontrato un attore con le sue qualità. Mai ho percepito una tale estrema capacità di far emergere ogni personaggio in tutte le sue sfaccettature, nel suo pieno significato, nella sua fragilità e verità.
Ancora una settimana prima della sua morte, nella sua stanza dell'Hospice San Rocco a Verbania, fece apparire nelle parole di Shakespeare[2] lo spettro del padre di Amleto. Felici come bambini, noi presenti con occhi lucidi ricevemmo da un moribondo uno sguardo profondo nell'universo del teatro.
Con sua moglie Luisella veniva a tutte le nostre prime (come noi andavamo alle sue). Il suo commento ai nostri lavori era l'unico che, in senso più profondo, avesse significato per me. E tu cosa ne pensi, Alessandro? Le sue risposte erano sempre precise, nessun altro poteva analizzare e definire in modo così qualificato ed esatto e al contempo così rispettoso e amorevole, dove e perché qualcosa funzionava e dove si nascondevano gli ostacoli, le insidie, le imperfezioni. I nostri spettacoli degli ultimi dieci anni - alcuni più lavori di ricerca che teatro per il grande pubblico - lo entusiasmavano, e anche quando erano a miglia di distanza dalle sue grandi regie e interpretazioni, accendevano quella sua insaziabile curiosità con cui si rapportava alle persone, al teatro, alla vita.
A volte passavano mesi tra i nostri incontri, noi eravamo in viaggio, lui era in tournée con Luisella e la sua compagnia. Ma ci furono anche viaggi insieme: giorni a Venezia, uno spettacolo comune come pretesto per stare insieme, la cena indimenticabile con Marchetti e lo scrittore Urs Widmer. Poi il viaggio nelle Alpi piemontesi sette anni fa, solo Alessandro e io, un viaggio nei suoi ricordi alla ricerca delle chiavi di mondi passati: a diciott'anni, dopo la guerra, era stato qui in tournée con la compagnia di suo padre e sognava di rivedere i luoghi che si erano sepolti nella sua memoria. In un'enorme Audi vecchia di vent'anni, con smisurati sedili in pelle ondeggiammo per alcuni giorni sulle strade di montagna del Piemonte. Con i ricordi scoprimmo nuovi luoghi, trovammo un nuovo mondo, del quale avremmo continuato a parlare negli anni successivi, un mondo fatto di paesaggi montani invernali, luoghi abbandonati con delfini come emblemi, un vecchio, immenso hotel in un paese buio poco prima della Francia, con noi due come unici ospiti e camerieri eleganti che ci servivano silenziosamente, nella sala da pranzo completamente vuota, agnolotti, risotto al tartufo bianco e un elegante Barolo.
Le nostre esibizioni insieme contano per me tra le più grandi esperienze teatrali in assoluto. Lo spettacolo non iniziava né finiva sul palco, Alessandro era lo spettacolo, dalle prime prove fino ai saluti in hotel dopo la rappresentazione. Ogni parola, ogni frase, ogni pensiero si moltiplicava con lui, conduceva a nuove associazioni, ad altri autori e messe in scena. Nel suo modo di recitare, nei suoi movimenti, nelle sue parole i personaggi non solo prendevano vita, ma danzavano, mettevano in scena uno spettacolo che, tragico, comico, burlesco, raccontava sempre la stessa cosa: l'essere umano nel suo smarrimento, nel suo disorientamento in mezzo a un mondo assurdo, un mondo avverso che non gli vuole bene e che lui, nonostante tutto, o forse proprio per questo, ama incondizionatamente.
Come per ogni uomo di teatro, il pathos era il costante compagno di Alessandro. Era il secondo anno di studi all'Accademia Dimitri. Avevo voltato le spalle al mio paese natale, deciso a plasmare non solo la mia formazione, ma anche il resto della mia vita lontano dalla cosiddetta patria. Alessandro ci introduceva ai segreti della Commedia dell'Arte, parlavamo anche di storia italiana e naturalmente noi ragazzi finimmo per tirare in ballo anche della situazione dell'Italia contemporanea. Qualcuno fece un commento ironico sulla guida degli italiani tra le corsie, qualcun altro menzionò la mafia, si parlò dell'attentato alla stazione di Bologna di pochi anni prima, questa Italia sembrava ai nostri giovani occhi spavaldi un paese desolato. All'improvviso Alessandro fece un passo avanti e disse: Bisogna essere cauti nei giudizi. Come ogni paese anche l'Italia ha i suoi difetti, ma questo non cambia l'amore per il paese. L'Italia per me è come una madre! E anche se mia madre fosse una prostituta, è e rimane mia madre.
Erano mondi diversi per me allora. Non mi sarebbe mai venuto in mente che fosse possibile parlare così dei propri sentimenti e soprattutto poter o voler esprimere qualcosa come l'amore per la patria. Né questa rappresentazione italiana del linguaggio né sentimenti concreti verso dei paesi mi erano familiari. Nulla mi era più estraneo allora di qualsiasi amore per la patria, ero anzi felice di essere sfuggito per un pelo, da sbarbatello, a questa Germania e alla sua storia bruna. Mi risultava difficile comprendere questo amore per una madre che era un paese.
Eppure le parole di Alessandro mi colpirono allora, e nei quarant'anni successivi ebbi la fortuna di comprenderle: di sperimentare il suo profondo legame con il suo paese e di ascoltare dalla sua bocca la storia dei suoi nonni e genitori come Capocomici. Durante lunghi pranzi nella sua casa sopra il Lago Maggiore, che spesso si protraevano fino a tarda sera, mi portava con sé nelle tournée di suo padre socialista e della sua compagnia attraverso l'Italia del fascismo, nelle rappresentazioni della compagnia paterna durante la guerra e nei viaggi proibiti del gruppo teatrale durante i coprifuoco e gli ordini di oscuramento. E naturalmente nelle tournée della sua propria compagnia con tutte le grandi opere di autori italiani ed europei. In realtà, questo amore per la sua madre Italia era un enorme intreccio di ricordi di ogni tipo, che da un lato erano legati all'Italia, alla sua storia e alla sua cultura e dall'altro parlavano del suo amore per la vita, per il suo lavoro e per il teatro. In italiano esiste la bella espressione Figlio d'arte. In tedesco quest'espressione non esiste, si potrebbe dire che Alessandro Marchetti era l'ultimo di una dinastia teatrale, ma suona pomposo e del tutto immodesto, come è proprio delle dinastie. Quindi: Figlio d'arte, non solo ultimo rampollo di una famiglia di artisti che ora con lui si è estinta, ma appunto anche: figlio dell'arte.
La cultura teatrale tedesca nella seconda metà del XX secolo è strutturata in modo completamente diverso da quella delle compagnie itineranti in Italia dal Medioevo e dal Rinascimento fino all'età moderna: nei teatri statali, comunali e di tournée tutti i compiti erano (e sono) rigorosamente separati: autore, drammaturgo, regista, scenografo e costumista, light- and sound designer ecc., ognuno si muove solo nel suo ambito chiaramente definito. I cosiddetti teatri indipendenti, nati alla fine degli anni Sessanta, dovevano fare tutto da soli già per motivi di costo, cosa che per la scarsità dei mezzi comportava anche un impoverimento dell'allestimento - così la concentrazione si spostò sul cosa, sul contenuto: testi e attori passarono in primo piano.
Questo era il mondo che conoscevo e in cui in qualche modo mi aspettavo di crescere. Poi all'improvviso c'era quest'uomo che non solo dirigeva, ma che con grande arte e infinita abilità costruiva e dipingeva anche la scenografia e disegnava i costumi facendoli realizzare secondo i suoi progetti. E recitava come un Dio. All'improvviso c'era il teatro totale, il teatro come arte, come artigianato e come vita: dell'Arte.
Alessandro aveva infine costruito e allestito un intero teatro nel seminterrato della sua casa, con un minuscolo foyer, una sala per gli spettatori e un palcoscenico piccolo ma completamente attrezzato. Per decenni vi si sono tenuti spettacoli, letture, conferenze e corsi. Come spettatore, dal primo passo in questo gioiello non si smetteva di meravigliarsi: si era circondati da personaggi e scene della Commedia dell'Arte, dipinti con la massima maestria sulle pareti e sul soffitto come trompe-l'œil, completi di case, balconi e finestre.
Strano: quando ripenso ai nostri incontri, ho la sensazione che in tutti questi anni non abbiamo scambiato una sola parola banale, superficiale. Sicuramente non è vero, ma nel mio ricordo i pensieri, le idee, le osservazioni, le risposte sembrano aver sempre avuto un significato più profondo, erano piene d'ironia, sempre importanti, e la grandezza delle nostre conversazioni mi diventa chiara solo ora, quando ho a disposizione solo il ricordo per farmele rivedere.
Alessandro Marchetti lascia con la sua morte un vuoto terribile. Non se n'è andato solo un grande uomo, un uomo di teatro, un artista, un amico, ma è come se avesse trascinato con sé un intero mondo, un mondo teatrale che forse era una propaggine di tempi passati, in cui l'attore, come cercava di insegnare a noi scettici sbarbatelli nelle nostre prime lezioni quasi quarant'anni fa, sta effettivamente un gradino sopra la società, vive al di fuori dei sistemi in cui sono rinchiusi i comuni mortali. I sistemi, le connessioni, spiegava, si possono vedere e capire solo se non se ne fa parte. Non da ultimo mi ha insegnato che un compenso adeguato per spettacolo è anche una questione di cultura, una questione di dignità. Un simile concetto di dignità degli attori, espressione di una cultura profonda, di grande professionalità e abilità e di una venerazione quasi illimitata da parte del pubblico, l'ho vissuto due decenni dopo in Russia: lì, che fosse a Ekaterinburg, a Samara o a Novgorod, dopo gli spettacoli si tenevano ricevimenti nella Casa dell'Attore, edifici simili a palazzi nel centro della città, dove l'arte della recitazione e gli artisti venivano venerati e celebrati. Questa grandezza culturale che ho vissuto in Alessandro Marchetti è qualcosa che probabilmente è passato. Il teatro oggi sembra essere più una sorta di rovistare che un lavoro culturale sostenibile, e gli attori sono degradati a beneficiari dell'assistenza sociale di una società che non sa più cosa farsene di loro.
Nei suoi ultimi giorni, segnato dalla malattia ma ancora pieno di pensieri, amore e ironia, Alessandro ci prese per mano per insegnarci come intraprendere anche l'ultimo viaggio. Parlavamo di ricordi, di importanti momenti condivisi, quando lui, tra flebo e tubi dell'ossigeno e molto consapevole del suo destino, sussurrò con la poca forza che gli era rimasta: Perché volete sempre crogiolarvi nel passato? Pensiamo piuttosto a quale spettacolo dovremmo mettere in scena come prossimo!
Alessandro Marchetti
nato il 13 novembre 1930 a Gorizia, è stato un regista, attore e docente di recitazione italiano, specialista della Commedia dell'Arte.
Ultimo discendente di tre generazioni di artisti, ha unito il suo lavoro di attore e regista alla pittura e alla scultura.
Nel 1968 Marchetti fondò a Milano la compagnia teatrale Teatro 7, nel 1970 riuscì nella riapertura di successo del rinomato Teatro Filodrammatici di Milano. Tournée in Italia, in Europa e all'estero (tra cui Senegal, Giappone).
Come regista ha lavorato, tra gli altri, allo Stadttheater di Ingolstadt, allo Stadttheater di Berna, allo Stadttheater di San Gallo e al Festival di Ludwigsburg. Come docente ha insegnato, tra l'altro, al Mozarteum di Salisburgo e all'Accademia d'Arte Drammatica di Zurigo. Le sue regie, produzioni teatrali e operistiche sono state rappresentate in Europa, in America, Australia, Giappone, Africa, Medio Oriente e Russia.
Con il suo recital La maschera e il volto - un viaggio attraverso la Commedia dell'Arte - ha realizzato oltre 500 rappresentazioni. In collaborazione con Marcel Kunz ha pubblicato il libro Arlecchino & Co presso Klett & Balmer.
Nel 1994 ha fondato lo Studio teatro-Accademia per i giovani della Provincia del Verbano Cusio Ossola. Nel 2005 ha dato vita alla Compagnia Stabile del V.C.O.
Alessandro Marchetti ha vissuto negli ultimi tre decenni a Verbania, Italia, insieme a sua moglie, l'attrice e drammaturga Luisella Sala.
È morto il 15 novembre 2024 a Verbania, due giorni dopo il suo 94° compleanno.
[1]: Traduzione diretta da: "Die Welt aus den Angeln zu heben."
[2]: Io sono lo spirito di tuo padre,
condannato per un certo tempo a vagare nella notte,
e di giorno costretto a digiunare tra le fiamme,
finché i turpi peccati commessi in vita non siano arsi e purificati.
Se non mi fosse proibito di rivelare i segreti della mia prigione,
potrei raccontarti cose che la più lieve parola ti gelerebbe l'anima,
ti farebbe rizzare i giovani capelli come aculei d'istrice...
Ma questa rivelazione dell'eternità non è per orecchie di carne e sangue. Ascolta, ascolta, oh ascolta!
Se mai hai amato il tuo povero padre...
Amleto, William Shakespeare, atto 1, scena 5