Ingmar Bergman & August Strindberg
Ho descritto nello scorso post i segni della sofferenza transgenerazionale di Ingmar Bergman: 1) la possibilità di essere stato adottato alla nascita dai genitori e di essere figlio naturale del solo padre, il che implica la sofferenza dal concepimento ai primi giorni dopo la nascita, l’essere stato adottato da una madre che era già in lutto per la perdita del proprio figlio naturale (il che apre alla possibilità di essere costantemente percepito come un altro), l’ambiguità del padre-fedifrago; 2) il disturbo bipolare del padre con aspetti di Asperger; 3) la violenza educativa del padre con la colpevole inerzia della madre; 4) la rivalità con i fratelli con fantasie omicide verso la sorella; 5) il rimpianto dei momenti felici dell’infanzia, dei momenti di ipomania del padre; 6) le liti ed i tradimenti all’interno della coppia dei genitori.
August Strindberg: L’incontro con la drammaturgia, la narrazione, la poesia e la pittura
In uno di questi momenti ipomaniacali familiari, quando Ingmar aveva dodici anni, gli fu regalata la lanterna magica, un proiettore di diapositive. Fu l’accesso all’arte che costituì la via di fuga rispetto alle sofferenze quotidiane. A diciott’anni, dopo l’ennesimo scontro con i genitori, partì per Stoccolma, dove andò a vivere da solo. Dopo gli studi superiori e il servizio militare, si iscrisse all’Università, ma l’abbandonò per dirigere una compagnia filodrammatica studentesca, per scrivere testi teatrali e un’opera lirica e per fare gratuitamente l’aiuto regista e il suggeritore. Era un giovane pieno di acne e con tanti problemi di privazione sessuale e di aggressività verso l’altro sesso, ma l’incontro con la drammaturgia, la narrazione, la poesia e la pittura del suo connazionale August Strindberg attivò la sua tecnica immaginativa teatrale e, soprattutto, lo specchio del percorso di vita di Strindberg gli permise di comprendere meglio i suoi problemi di intimità.
Bergman ha dichiarato apertamente di essere stato influenzato da Strindberg, che lo ha inspirato non solo nel contenuto, ma anche nella forma.
Entrambi erano interessati a esplorare le frontiere tra realtà e sogno, con un uso innovativo della narrazione frammentata e simbolica; Strindberg è stato un pioniere del modernismo e dell’espressionismo nel teatro, abbandonando il naturalismo a favore di rappresentazioni più soggettive e oniriche; Bergman, pur utilizzando spesso elementi realistici, ha adottato un approccio simile, inserendo elementi simbolici e surreali nei suoi film e creando un’atmosfera che spesso riflette l’interiorità dei personaggi. Entrambi condividono una visione cupa e tormentata della vita, caratterizzata da conflitti irrisolvibili, angosce esistenziali e un senso di isolamento. Bergman ha, in effetti, messo in scena e reinterpretato tre opere di Strindberg al Teatro Drammatico Reale di Stoccolma (Kungliga Dramatiska Teatern).
La Sonata degli Spettri
La Sonata degli Spettri (Spöksonaten), dramma in tre atti scritto da Strindberg nel 1907 e rappresentato con mediocre successo quattordici volte, fu messa in scena da Bergman in diverse occasioni, a partire dal 1941 fino a una versione del 2000 al Royal Dramatic Theatre di Stoccolma.
Un giovane studente che viene attirato in una casa misteriosa da un anziano, Hummel, una figura manipolatrice che lo introduce al mondo segreto della casa, in cui ogni personaggio nasconde segreti oscuri; durante una cena, emergono tensioni e conflitti. Come non pensare alla casa Bergman e alla sua scrittura cinematografica che, mescolando elementi di realismo e simbolismo, esplora temi come il tradimento, la colpa, la morte e la ricerca della verità?
La signorina Giulia
Un secondo adattamento teatrale di Bergman fu La signorina Giulia (Fröken Julie), una tragedia in atto unico, ambientata in una notte d’estate di fine ‘800 in una cittadina svedese.
Giulia, venticinquenne figlia di un Conte, passa la serata di San Giovanni alla festa della servitù, mentre il padre è assente. Cerca di sedurre il giovane cameriere Jean, che si dichiara innamorato di lei. Scoperti dai servitori, i due decidono di scappare per la vergogna di Giulia, ma la cuoca Kristin, fidanzata di Jean, svela il loro intento e blocca la fuga. Dopo una discussione Giulia propone a Jean il suicidio, ma Jean cerca di dissuaderla. Quando viene annunciato l’arrivo del Conte, Jean spiega che subisce l’autorità di questi e che non desidera contrariarlo; quando Giulia gli chiede aiuto per uscire dalla situazione, Jean le tende un rasoio. Giulia lo ringrazia e va fuori di scena, dove si ucciderà.
Nella prefazione Strindberg scrive: Verrà, comunque, forse un giorno in cui saremo tanto avanzati, così illuminati, da poter osservare con indifferenza lo spettacolo brutale, cinico, crudele, che ci propone l’esistenza. Allora avremo disinnescato gli strumenti inferiori e inattendibili di pensiero detti sentimenti, divenuti superflui e nocivi per la maturazione dello strumento di giudizio.
La tragedia, che riflette il pensiero di Strindberg sul determinismo sociale e biologico, influenzato dalle teorie di Darwin e dalle idee di Nietzsche, provocò uno scandalo clamoroso nella società ben pensante: il trattamento esplicito di sesso e potere era troppo!
La caratterizzazione dei personaggi vacillanti e disintegrati sostituisce la trama come elemento drammatico predominante: l’essere umano per Strindberg è un carattere senza carattere e la vita nel suo insieme è come un’enorme suggestione in stato di veglia.
Il padre
Un terzo adattamento teatrale fu Il padre (Fadren), tragedia in tre atti di August Strindberg scritta nel 1887. Il Padre parla dello scontro del Capitano, ufficiale di cavalleria razionale e autoritario, e di sua moglie Laura sull’educazione della loro figlia. Laura, per ottenere il controllo, manipola il Capitano insinuando dubbi sulla sua paternità e portandolo così gradualmente alla follia. Il dramma culmina con la completa disgregazione del Capitano, simbolo della crisi dell’autorità maschile. Finirà definitivamente pazzo tra le braccia materne della sua nutrice, donna dalle prosperose forme, come la nutrice di Sussurri e grida di Bergman.
Il filosofo-musicologo Péter Szondi ha fatto notare che, mentre nel dramma classico c’è un processo tra accadere, presente e intersoggettività, ne Il padre l’intersoggettività è oscurata dall’analisi interiore: manca l’altro e la storia si svolge tra isole incomunicabili. E questa critica è valida sia per le altre opere di Strindberg, sia per l’arte di Bergman.
Bergman ha anche diretto per la televisione due opere di Strindberg. La prima è Il sogno (Ett drömspel), dramma del 1901 che parla dello smarrimento nel cielo della figlia del dio Indra. Mentre se ne stava sulla nuvola più alta fra montagne di nuvole, circondata dalle costellazioni, udì la voce del padre chiamarla, tuonando come un fulmine: Dove sei, figlia, dove sei? Lei provò a spiegarlo ed Indra capì: era finita nel terzo mondo, lì dove si trovava la Terra. Lei cominciò a sentire degli strani suoni provenire dal basso: era la lingua degli umani e le sembrava un lamento; scese così a visitare la vita degli uomini e finì per esclamare: Che pena, gli uomini!
La tecnica di scrittura di August Strindberg
Strindberg, descrivendo la sua tecnica di scrittura in questo dramma – il mio dramma prediletto, la creatura del mio maggior dolore -, segue il viaggio della ragazza come avviene nei sogni: salta di scena in scena, da un luogo all’altro, da un tempo all’altro, senza apparente continuità logica, con i personaggi, simili a spettri, che si avvicendano raccontandosi e raccontando il dolore, la sofferenza e l’ingiustizia, ma anche quella dolce e terribile forza che unisce sogno, vita e poesia. Strindberg ha scritto: Tempo e spazio non esistono; su una base minima di realtà, l’immaginazione disegna motivi nuovi: un misto di ricordi, esperienze, invenzioni, assurdità e improvvisazioni … Tra la vita reale e la vita del sogno è un gioco di combinazioni mentali, sono rapporti di gesti, di avvenimenti traducibili in atti: ciò costituisce quella realtà teatrale che il Teatro Jarry si propone di far rivivere. Il senso della realtà vera del teatro è andato smarrito. Dai cervelli umani è scomparsa la nozione del teatro. Essa esiste, invece: a metà strada tra realtà e sogno… Le mie anime (caratteri) sono conglomerati di stadi culturali passati e attuali, stralci di libri e giornali, frammenti d’umanità, sbrendoli di abiti festivi fattisi cenci, proprio come è assemblata l’anima.
Il secondo adattamento televisivo è La danza della morte o Danza di morte o Danza macabra (Dödsdansen), dramma in due atti scritto in una settimana del 1900. Una coppia, alla soglia delle nozze d'argento, è fatta di due falliti, che si scontrano tra loro fino a svelare i loro impulsi omicidi: Edgar è un capitano dell'esercito, non è mai riuscito a diventare maggiore, Alice non ha coronato i suoi sogni di gloria con la carriera di attrice perché non ce l’ha fatta a lasciare il marito. Come non ricordarsi della sconfitta esistenziale dei genitori di Ingmar?