Io sono ciò che ho ascoltato

Buona domenica, narratore della tua vita!

Per quasi un anno abbiamo lavorato nel silenzio, scrivendo, registrando, montando, assemblando.
Domattina sarà il momento: siamo lieti di presentare, insieme alla Fonoteca nazionale svizzera, un'esperienza d'ascolto speciale: un fonomontaggio di 25 minuti che offre uno sguardo nel cuore della Fonoteca nazionale.

Verrà pubblicato lunedì 27 ottobre 2025 alle ore 07:07.
Te lo manderemo appena sarà online.
Oggi ti inviamo alcune note di Markus riguardo al tema dell'ascolto.

Buona lettura, a domattina!

Registrazioni presso la Fonoteca nazionale svizzera: Yari Copt, Paola Pianta Franzoso, Gabriele Cerilli, Andrea Sassen. Foto: Markus Zohner Arts Company

Io sono ciò che ho ascoltato

La nostalgia per le voci perdute

Di Markus Zohner

Annotazioni durante la creazione della presentazione audio della Fonoteca nazionale svizzera, pubblicata il 27 ottobre 2025 in occasione della Giornata mondiale per la memoria audiovisiva[1].

Un paese intero, custodito nei suoni

La Fonoteca nazionale svizzera. Un paese intero archiviato in suoni. Migliaia di ore di storia registrata, di voci conservate, di musica inaudita, di momenti custoditi.

Non ho mai voluto registrare. La decisione di studiare teatro e non cinema non è stata casuale. La volatilità dell'evento scenico corrispondeva alla mia idea del legame dell'atto creativo all'istante. E dunque alla sua caducità.
Ora trovo qui improvvisamente raccolte, ordinate e custodite con cura le voci di persone da tempo ammutolite, dialetti che nessuno parla più, storie che nessuno racconta più. La musica, le voci e i rumori di un paese intero.

Nella Fonoteca nazionale giacciono centotrenta anni di Svizzera conservati in suoni. Raccontare la storia della Fonoteca, ma anche portare alla luce le storie che la Fonoteca custodisce, è un sogno. Immergersi nella vita custodita della Svizzera: ci si perde in una dimensione che sembra più grande della vita stessa. Un enorme mosaico di suoni in continua crescita, che scandaglia l'esistenza culturale della Svizzera degli ultimi centotrenta anni in tutta la sua profondità, nella sua anarchia, creatività, ferocia e forza creatrice.

Dare a questi suoni trascorsi nuova struttura, ritmo, nuovi archi narrativi e parlare di loro, dunque non solo disseppellirli, ma renderli nuovamente udibili al pubblico di oggi e collocarli in nuovi contesti, sotto una luce attuale.

Per l'inizio: un fonomontaggio![1:1]

Mosca

La radio con il rivestimento di stoffa bianca, grande come una valigia, che aveva accompagnato i miei nonni attraverso la guerra con le sue voci dall'estero e che ora catapultava me, dal loro divano, attraverso l'Europa da Atene a Reykjavik con una semplice rotazione di manopola. La geografia d'Europa era una linea, i suoi snodi stavano ben allineati su una scala: Berlino, Lussemburgo, Budapest, Atene, Londra, Roma. Ma dove diavolo si trovava Hilversum, che dal centro della linea dominava l'intero continente? E, naturalmente, Mosca, la stazione dell'orrore, tutta a destra. Le parole che uscivano dal fitto fruscio sembravano pagnotte nere, salate e pesanti, ogni frase scagliata una manifestazione di qualcosa di oscuro. Fumo opprimente che riempiva l'alto soggiorno dei nonni e mi toglieva il respiro.

Nessuna di quelle trasmissioni vorrei riascoltare, se non per un interesse storico quasi freddo. Non i programmi di allora e i loro contenuti mi appartengono, ma i suoni stessi, che attraverso la stoffa bianca della radio entravano nella stanza come figure eteree e la riempivano di vita estranea, sconosciuta. Il fischio e il fruscio tra le stazioni, le parole da Atene: potevo ascoltare all'infinito quella lingua che per me era musica. Canzoni lontane da Roma, condite a mio gusto con le magre notizie da Londra e gli annunciatori abbaianti da Budapest. E, sempre di nuovo Mosca, al cui fascino oscuro non potevo sottrarmi.

Perché ascolti sempre i russi, Markus? disse mia nonna mentre portava dentro le ciotole fumanti per il pranzo. Cambia stazione, siamo contenti che la guerra sia finita!

Ascoltare

Ascoltare. Farsi raccontare storie. Attraverso l'ascolto cominciamo nei primi anni di vita a comprendere il mondo. A dargli un senso.

Senza essere interpellati veniamo catapultati con tutti i nostri sensi in un cosmo gelido, al quale siamo esposti in tutta la nostra nudità. Impariamo a vedere, impariamo a muoverci, e impariamo ad ascoltare. La voce di nostra madre per prima, poi quella del padre, dei fratelli, dei nonni, a seconda di chi ci circonda nei nostri primi giorni, settimane e mesi.

Il suono diventa parola diventa pensiero diventa sapere

I suoni che ascoltiamo parlano direttamente ai nostri sentimenti: fiducia, calore, paura, gioia, spavento. Il loro significato è sfocato, astratto, paragonabile alla musica. Solo passo dopo passo si formano per noi dalle voci, che colleghiamo con sguardi, gesti e contesti, sillabe, parole, e a un certo punto qualcosa come frasi. Ora le informazioni diventano concrete, diventano un riflesso di ciò che percepiamo con gli altri sensi. La sfera sfocata che nuota in un mare di colori e linee diventa la palla. Cominciamo a riflettere il mondo, a rimandare la sua immagine con le parole. Nasce la comprensione.

La voce: portatrice della memoria

Nei primi cinque, sei anni della nostra vita l'universo ci viene dischiuso e reso comprensibile attraverso l'udito. Sono i nostri anni formativi, l'ascolto rimarrà per sempre un collegamento con l'inconscio di quel periodo e il nostro primo, centrale senso per l'apprendimento, per la comunicazione, per la comprensione del mondo.

Nei primi 98%[2] della sua storia, l'uomo moderno ha fatto affidamento sull'udito per imparare, e sulla voce per trasmettere. La maggior parte del sapere dell'umanità è stata trasmessa oralmente. Scoperte, congetture, storia e storie, che viaggiano da bocca a orecchio, attraverso 12'000 generazioni[3]. La voce fino a poco tempo fa l'unica portatrice della memoria.

Ascoltare è intimità.
Ascoltare è solitudine.
Ascoltare è fantasia.
Ascoltare è attività.

Teatro senza corpo

Strano, quando a diciotto anni mi trovai a un bivio e improvvisamente seppi che non medicina ma teatro sarebbe diventata la mia vita, fu la pantomima ad attirarmi, il raccontare storie attraverso corpo, spazio e tempo. Recitazione muta, pubblico muto. Come sfondo sonoro solo mondi interiori. L'intimità del respiro inudibile.
Poi però arrivò il suono in modo del tutto naturale, la parola[4]. Il teatro come medium di trasmissione orale, memoria e futuro al contempo. L'immaginazione che diventa parole, e le parole che diventano immaginazione. L'immaginazione dell'attore partorisce la parola, che accende l'immaginazione dello spettatore.

Qui sta per me la profonda parentela tra teatro e radiodramma, tra palcoscenico e podcast: entrambi confidano nella forza creatrice della parola parlata, entrambi disegnano mondi nella fantasia dei loro spettatori, dei loro ascoltatori. La differenza è minima, e al tempo stesso essenziale: la presenza del corpo nel teatro, la sua assenza nella radio. Ma il principio rimane lo stesso: le parole diventano immagini, le voci diventano personaggi, le pause diventano significato. In entrambi i media le storie nascono attraverso la forza creatrice di chi riceve.

Il rumore: un universo

Il mondo ha continuato a girare. Durante i nostri numerosi tour in Russia ho perso il cuore per amici e colleghi a Novgorod, Ekaterinburg, Samara, Novosibirsk, Novyj Urengoj, San Pietroburgo. Oggi una profonda nostalgia per quel mondo mi incalza, per quell'anima, per quell'essere umano così colto, magnifico, per quella cultura che sembra infinita come il paese stesso.
Il brivido infantile davanti a Mosca è col tempo ricaduto in strati d'esistenza nascosti, trascorsi – finché non mi ha improvvisamente riafferrato, quando negli anni Novanta, girando la manopola della frequenza della mia radio tascabile, mi sono imbattuto in The Buzzer[5]: UVB-76 è una stazione radio russa segreta a onde corte, o meglio: misteriosa, che trasmette ventiquattro ore su ventiquattro un ronzio o un tono monotono e che in buone condizioni è ricevibile in tutto il mondo[6]. Non è stata finora decifrata, ma questi suoni e i messaggi in russo e i codici intercalati e sopratutto la tesi che sia misteriosamente collegata alla fine del mondo[7] mi hanno riportato all'istante alle paure innominabili della mia infanzia.


Ammutolire: la perdita di un mondo

Le storie di mia nonna, che ha portato con sé dal suo mondo sommerso. Storie di gente dei Sudeti, cechi, ungheresi, tedeschi, di foreste e villaggi ai piedi della Sněžka, la Schneekoppe. Naturalmente, le più spaventose di tutte, le storie di Rübezahl, lo spirito capriccioso della montagna dei Monti dei Giganti, che raccontava a me, bambino febbrile e pauroso, la sera sul bordo del letto o, con voce cospiratoria e smorzata, nel tram sulla strada per il Deutsches Museum.

È morta quasi quarant'anni fa. Non sono le storie che mi mancano. Ne ricordo molte, qualcosa ho scritto giù, e la maggior parte probabilmente vive in me, scritta nel mio essere con un qualche inchiostro invisibile. Ciò che mi manca, questo vuoto, quest'assenza che mi procura una sorta di dolore fantasma continuo, è la sua voce. Il soffio sonoro, le cui vibrazioni provenienti dalla memoria vengono formate dal corpo nell'istante unico dell'essere, è forse qualcosa come l'impronta digitale dell'anima. Il suo ammutolire rende orfani chi resta.

Io sono ciò che ho ascoltato.


  1. Pubblicazione lunedì 27 ottobre 2025 ore 07:07 in occasione della Giornata mondiale del patrimonio audiovisivo 2025.
    Te lo mandiamo a casa! ↩︎ ↩︎

  2. Età Homo Sapiens: 300'000 anni, invenzione della scrittura in Mesopotamia 5'000 anni fa ↩︎

  3. 300'000 anni di Homo Sapiens ÷ 25 anni/generazione = 12'000 generazioni ↩︎

  4. Grazie, Jean-Martin! ↩︎

  5. Жужжалка на 4625 килогерц, stazione radio con il segnale identificativo UVB-76 (oggi ЖУОЗ), che trasmette ventiquattro ore su ventiquattro a circa 4625 kHz nella banda delle onde corte un ronzio o tono monotono. Occasionalmente il tono viene interrotto da messaggi vocali o in codice russi (ad es. nomi, cifre, indicativi di chiamata). Lo scopo non è chiaro. Si presume tuttavia che si tratti di una stazione militare o dei servizi segreti: sorveglianza, allerta o comunicazione segreta. ↩︎

  6. I segnali a onde corte (3–30 MHz) vengono riflessi dalla ionosfera, consentendo loro di percorrere migliaia di chilometri. In pratica, il segnale a 4625 kHz del "Buzzer" è udibile, a seconda dell'ora del giorno e delle condizioni atmosferiche, in tutta Europa, Asia e persino in Nord America. La propagazione di notte – specialmente in inverno – aumenta notevolmente la portata. In condizioni ionosferiche favorevoli ЖУОЗ può essere ricevuto su tutto il globo. ↩︎

  7. La tesi sostiene che ЖУОЗ sia l'attivatore primario di un sistema automatizzato di rappresaglia nucleare: dà il segnale per il colpo di rappresaglia finale, nel caso tutte le altre strutture di comando siano state distrutte. La teoria è molto diffusa, ma è fortemente messa in dubbio da ricercatori e media seri.
    Informazioni dettagliate ↩︎


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