L’inconscio alla maniera di Freud
L’inconscio - un’attività psichica di cui non siamo consapevoli, ma che produce effetti reali e concorre alla determinazione della vita dell'individuo - è il concetto chiave della teoria elaborata da Sigmund Freud.
Ripercorriamone criticamente la maturazione di questo concetto attraverso le parole dello stesso Freud.
In Autobiografia del 1924 Freud ammette:
Al ginnasio … non sentivo alcuna predilezione speciale per la professione medica, né ebbi del resto a sentirla in seguito. Mi dominava piuttosto una specie di brama di sapere che, però, si riferiva più ai fenomeni umani che agli oggetti naturali, e che inoltre non aveva ancora riconosciuto il valore dell’osservazione come suo principale mezzo di appagamento. I suoi influssi formativi furono lo studio precoce e approfondito della storia biblica, iniziato appena ebbi imparato a leggere e la teoria di Darwin. L’illustrazione del bel saggio goethiano La natura … mi fece decidere, infine, a iscrivermi alla facoltà di medicina.
L’Università, alla quale mi iscrissi nel 1873, mi procurò da principio notevoli delusioni. Anzitutto mi feriva l’idea che per il fatto di essere ebreo … Ma queste prime impressioni universitarie ebbero la conseguenza importantissima di abituarmi fin da principio al destino di stare meglio nelle file dell’opposizione e all’ostracismo della “maggioranza compatta”. In questo modo furono gettate le basi per una certa mia indipendenza di giudizio. … Le discipline propriamente mediche, fatta eccezione per la psichiatria, non esercitavano su di me una grande attrazione. … Fu così che, grazie ad una borsa di studio si recò a Parigi per frequentare la scuola del grande Charcot.
Quando ancora lavorava nel suo apprendistato universitario
avevo conosciuto il dottor Josef Breuer, uno dei medici di famiglia più stimati di Vienna … Già prima del mio viaggio a Parigi, Breuer mi aveva parlato di un caso d’isteria da lui sottoposto, dal 1880 al 1882, a un trattamento particolare, per mezzo del quale era riuscito a penetrare profondamente nella motivazione e nel significato dei sintomi isterici. … Breuer mi aveva letto varie volte alcuni passi di questo caso clinico e l’impressione che ne trassi fu che mai come allora si era progredito tanto nella comprensione delle nevrosi. … La paziente era una ragazza di cultura e intelligenza non comuni; la sua malattia aveva cominciato a manifestarsi mentre accudiva amorevolmente il padre gravemente ammalato. Quando era ricorsa alle cure di Breuer la paziente offriva un quadro sintomatico complesso e variopinto: paralisi con contratture, inibizioni e stati di confusione psichica. Un’osservazione casuale permise al medico di scoprire che la malata poteva essere liberata da tali turbamenti della sua coscienza se e quando veniva indotta a dare espressione verbale alle fantasie affettive che in quel momento la dominavano. Breuer trasse da questa scoperta un metodo terapeutico.
Ripetutamente, dopo aver sottoposto la paziente a ipnosi profonda, la invitò a raccontare ciò da cui l’animo suo si sentiva oppresso. Dominati in tal modo gli accessi di ottenebramento depressivo, fece uso di questo stesso procedimento per eliminare le inibizioni e i disturbi somatici. Durante lo stato di veglia la giovinetta, al pari di qualsiasi altro malato, non sapeva dir nulla sull’origine dei suoi sintomi né ravvisava alcun legame fra questi ultimi e le impressioni della sua vita.
Nell’ipnosi ella scopriva invece immediatamente il nesso cercato.
Risultò, così, che tutti i suoi sintomi erano legati a impressioni vivissime risalenti al periodo in cui ella aveva accudito il padre infermo e che, dunque, questi sintomi avevano un senso ben preciso e corrispondevano a residui o reminiscenze di quelle situazioni affettive.
Normalmente le cose si erano svolte così: al capezzale del padre ella era stata costretta a reprimere un pensiero, o un impulso, al posto del quale, come suo sostituto, era poi sorto un sintomo. Perlopiù, tuttavia, il sintomo non era il sedimento di un’unica scena “traumatica”, ma piuttosto il risultato del fatto che parecchie situazioni del genere erano venute a sommarsi. Quando dunque la malata rammentava allucinatoriamente in ipnosi una di queste situazioni e portava finalmente a compimento l’atto psichico a suo tempo represso, dando libero sfogo ai propri affetti, ecco che il sintomo scompariva per sempre. Mediante questo procedimento Breuer riuscì, con un lavoro lungo e faticoso, a liberare la paziente da tutti i suoi sintomi. La malata, che in tal modo era stata guarita, non solo in seguito stette benissimo, ma diventò una donna capace di grandi cose.
Breuer intuisce che la radice della sofferenza psichica è in emozioni irrisolte e che queste emozioni erano collegate, io direi, a scene in cui la persona aveva vissuto un’emozione insopportabile …
… Breuer qualificò il nostro procedimento come catartico e ne dichiarò l’intento terapeutico: bisognava che l’ammontare affettivo utilizzato per la formazione del sintomo – che avendo preso un falso binario era rimasto in esso per così dire incapsulato – fosse preservato e ritornasse alla sua via normale, che poteva condurlo a una scarica adeguata (abreazione). … Nella teoria della catarsi si parla ben poco di sessualità. … Della sua prima paziente, divenuta poi celebre, Breuer racconta che l’elemento sessuale era “sorprendentemente poco sviluppato”.
Accanto al lavoro terapeutico riguardante il contenuto emerge l’importanza del contesto terapeutico della relazione, in cui si riattiva l’amore frustrato dell’infanzia …
Dopo che il trattamento catartico sembrava concluso si era instaurato di colpo, nella giovinetta, uno stato di “amore di traslazione”; Breuer non lo mise in relazione con la malattia della paziente e, costernato, decise di troncare con lei ogni rapporto. Egli era colto da visibile imbarazzo quando qualcuno gli rammentava questo episodio, che a suo dire era stato uno spiacevole contrattempo. …
Il mio lavoro con pazienti affetti da malattie nervose in genere ebbe un esito ulteriore: il mutamento della tecnica catartica. … sorsero in me gravi dubbi relativi all’impiego dell’ipnosi nella stessa catarsi. Il primo riguardava il fatto che perfino i risultati più brillanti svanivano improvvisamente nel nulla allorché il rapporto personale del medico col malato veniva in qualche modo turbato. È vero che essi si ristabilivano non appena veniva trovata la via della riconciliazione, ma intanto avevamo imparato che aveva più potere di qualsiasi lavoro catartico la relazione affettiva personale fra paziente e medico, relazione che appunto non sapevamo come controllare. In più un bel giorno ebbi la prova lampante che quel che sospettavo da molto tempo corrispondeva a verità: una delle mie pazienti più docili, con la quale avevo ottenuto in ipnosi risultati davvero splendidi, un giorno in cui la liberai dalla sua sofferenza riportando l’attacco doloroso ai motivi che l’avevano provocato, svegliandosi dal sonno ipnotico mi gettò le braccia al collo. L’entrata inaspettata di una domestica ci risparmiò una chiarificazione che sarebbe stata penosa, ma da quel momento in avanti rinunciammo, per un tacito accordo, alla prosecuzione del trattamento ipnotico.
Avevo buon senso a sufficienza per non attribuire questo evento alla mia personale irresistibilità e reputai dunque di aver finalmente capito quale fosse la natura dell’elemento mistico che agiva al di là dell’ipnosi; per eliminarlo, o quanto meno isolarlo, bisognava che rinunciassi all’ipnosi.
Freud riusciva dunque a ridere del suo presunto fascino, ma non riusciva a distinguere il sesso dalla tenerezza infantile, in cui l’abbraccio è la verifica relazionale dell’accettazione da parte dell’altro del bisogno d’amore infantile da parte del paziente. Questa incomprensione portò alla presuntuosa convinzione di Freud di aver scoperto la perversione del sesso infantile. Fu soltanto con Sándor Ferencziche queste congetture malate di Freud furono, con grandissima difficoltà, messe in crisi. Ma ne riparleremo.