Sommario
Di Adolfo Santoro
I compilatori di diagnosi catalogano nel Disturbo da stress post-traumatico (PTSD) sintomi come angoscia, depressione, ansia, rabbia, disturbi del sonno, problemi di abuso di sostanze, senso di colpa, dolore, problemi relazionali e ideazione suicidaria. Dopo la guerra in Vietnam, il PTSD è diventata la diagnosi principale utilizzata per spiegare e trattare i sintomi debilitanti riferiti dai soldati. Ma i trattamenti basati sull'inquadramento diagnostico del PTSD con il personale militare non hanno prodotto risultati positivi costanti. Si è potuto comprendere così che interpretare il PTSD solo in base agli effetti della paura/terrore dopo l'esposizione ad un trauma sia insufficiente, poiché sono trascurati i dilemmi morali e i conflitti profondamente personali vissuti durante le missioni, che spesso portano a sensi di colpa, vergogna e crisi personali. Attraverso un migliore ascolto delle esperienze dei veterani è stato introdotto il concetto di danno morale.
Cos'è il danno morale
Per danno morale s'intende un tradimento di ciò che è giusto da parte di qualcuno che detiene un'autorità legittima in una situazione ad alto rischio. Alcuni militari possono percepire le decisioni prese da altri, compresi i superiori, come un tradimento di ciò che ritengono giusto, per cui ne consegue il danno morale.
Paura e disgusto: due reazioni diverse al trauma di guerra
Il mio punto di vista, derivante dall'esperienza psicoterapica, distingue reazioni emotive di tipo femminile (paura e rabbia) e reazioni emotive di tipo paterno (senso di colpa/vergogna e depressione). I militari rientravano meglio nella categoria diagnostica del PTSD se i contesti del trauma si combinavano meglio ad un imprinting di attaccamento insicuro derivante dal legame materno rispetto all'esplorazione libera del mondo interiore e, quindi, del mondo esteriore; l'intervento psicoterapico basato sulla desensibilizzazione della paura attraverso la riesperienza dell'evento traumatico in un contesto rassicurativo è efficace. Se invece i contesti del trauma risvegliavano in loro reazioni emotive di tipo paterno, la categoria basata sul danno morale e sulla latitanza di un giudice interiore giusto comprendeva meglio i sintomi; in questo caso emergeva un'altra reazione emotiva, il disgusto per la guerra e per una società di tipo maschile/maschilista: il disgusto diventa allora il nodo emotivo su cui un contesto psicoterapico può lavorare al fine di indirizzare il vissuto verso un mondo di pace, che comprenda, ad esempio, la diserzione se persiste l'atteggiamento guerrafondaio della società complessiva.
I bambini come vittime di guerra e il risveglio morale
Le situazioni in cui più facilmente viene svelato il danno morale sono quelle che includono i bambini come vittime di guerra oppure l'incontro con i bambini-soldato: emerge allora, in maniera confusa, il conflitto tra l'ideologia cui si è stati addestrati – l'intervento militare come protezione delle popolazioni civili e, quindi, soprattutto dei bambini - e la consapevolezza di fare del male o non proteggere un bambino; possono così emergere il vissuto della consapevolezza paralizzante della stupidità della guerra e la confusa rivolta contro chi l'ha decisa o contro chi ne è complice, che soppianta il vissuto di la guerra è bella, anche se fa male. Da questo punto di vista percepire chiaramente il danno morale come segno dell'abuso perpretato, in ultima analisi, dal potere può essere la strada giusta per la trasformazione del senso di colpa/vergogna in co-responsabilità che così può essere restituita al maschilismo, che ritiene la guerra uno strumento normale per la risoluzione dei conflitti, alle generazioni precedenti, che sono inerti nella loro depressione, alla complicità verso un'ideologia maschilista rintracciabile negli errori della propria storia personale.
Se il mio punto di vista è giusto, il normale addestramento alla guerra deve comprendere un'ideologia del genocidio e della minorazione razziale, che faciliti l'uccisione a sangue freddo della popolazione civile e, in particolare, dei bambini. La guerra come spettacolo televisivo, ad esempio quella di Gaza, conforta, con le sue efferatezze verso i bambini, il mio punto di vista.
Una prima domanda che mi sorge è: Perché solo alcuni militari provano il "disgusto" verso l'uccidere e verso la guerra?
L'esperimento di Milgram sull'obbedienza all'autorità
La risposta a questa domanda può venire dall'esperimento di Milgram, un esperimento di psicologia sociale condotto nel 1961 dallo psicologo statunitense Stanley Milgram, che intendeva studiare il comportamento di soggetti ai quali un'autorità, nel caso specifico uno scienziato, ordinava di eseguire delle azioni in conflitto con i valori etici e morali dei soggetti stessi. L'esperimento cominciò tre mesi dopo l'inizio del processo a Gerusalemme contro il criminale di guerra nazista Adolf Eichmann e Milgram era mosso da un'altra domanda: È possibile che Eichmann e i suoi milioni di complici stessero semplicemente eseguendo degli ordini?
Come funzionava l'esperimento
Nell'esperimento di Milgram tre erano i soggetti dell'esperimento: il ricercatore R, il soggetto S1 e il soggetto S2. Il contesto apparente dell'esperimento era che R arruolava – con un modesto compenso economico - S1 al fine di valutare l'apprendimento di S2 attraverso la somministrazione di punizioni somministrate da S1 ad S2: quando S2 sbagliava le risposte a semplici domande, S1 doveva premere una serie di interruttori collegato a scosse elettriche di intensità crescente; S1 veniva informato da cartelli sia dell'intensità del voltaggio della corrente somministrata (l'ultimo interruttore della serie era di 330 Volt!), sia dei possibili danni fisici causati dalla scossa (l'ultimo interruttore era collegato a chiaro pericolo di morte). Il contesto reale dell'esperimento era che l'oggetto vero dell'esperimento era il comportamento di S1, cui veniva fatto credere che l'oggetto dell'esperimento era il comportamento di S2; in realtà S2 era un attore-complice che simulava in modo sempre più drammatico il dolore conseguente alle pseudo-scosse, mentre il compito di R era quello di esortare in modo pressante S1 a non desistere dalla prova: l'esperimento richiede che lei continui, è assolutamente indispensabile che lei continui, non ha altra scelta, deve proseguire. Il grado di obbedienza di S1 era misurato dal numero dell'ultimo interruttore premuto da S1 prima che questi interrompesse autonomamente la prova, ma molti S1 hanno continuato a dare scosse elettriche, nonostante le suppliche di misericordia da parte di S2, fino alla fine della prova, che era al 30° interruttore. Soltanto al termine dell'esperimento S1 fu informato che S2 era un attore e che non aveva subito alcun tipo di scossa.
La banalità del male e lo stato eteronomico
Questo stupefacente grado di obbedienza, che induceva gli S1 a violare i propri principi morali, è stato spiegato in rapporto ad alcuni elementi, quali l'obbedienza indotta da una figura autoritaria considerata legittima, in questo caso l'autorità scientifica rappresentata da R: l'autorità scientifica di R induceva uno stato di alienazione dal giudizio morale, uno stato eteronomico, in cui S1 non si considerava più libero di intraprendere condotte autonome, ma si sentiva esecutore dei voleri di un potere esterno e strumento per eseguire ordini, di cui non si sentiva moralmente responsabile delle loro azioni. Anche in guerra viene fuori la banalità del male, grazie alla percezione di legittimità dell'autorità, all'adesione al sistema di autorità, alle pressioni sociali, organizzate su una precisa propaganda guerrafondaia.

La distanza come fattore di obbedienza
Il grado di obbedienza di S1 all'autorità variava però sensibilmente in relazione a due fattori: la distanza tra S1 e S2 e la distanza tra R e S1.
La distanza tra esecutore e vittima
Per quanto riguarda la distanza tra S1 e S2 furono testati quattro livelli: nel 1° livello S1 non poteva osservare né ascoltare i lamenti di S2; nel 2° poteva ascoltare ma non osservare S2; nel 3° poteva ascoltare e osservare S2; nel 4°, per infliggere la punizione, doveva afferrare il braccio di S2 e spingerlo su una piastra. I risultati furono che nel 1° livello di distanza il 65% dei soggetti andò avanti sino al 30° interruttore, nel 2° livello il 62,5%, nel 3° livello il 40%, nel 4° livello il 30%. Questi risultati ci portano a riflettere sulla pericolosità delle moderne guerre a distanza, come quelle agite tramite droni, in cui viene completamente persa la sensorialità tra assassino e vittima.
Il ruolo della propaganda e dei media
Per quanto riguarda la distanza tra R e S1, più R intrudeva nello spazio fisico e psichico di S1, più S1 si avviava verso un comportamento possibilmente letale. Questo risultato ci porta a riflettere sulla pericolosità di un'efficace propaganda guerrafondaia e sul fatto che, per aumentare l'efficacia della propaganda in tal senso, debbano esserci soggetti all'interno della popolazione – i media televisivi e gli assoldati dal potere – che quotidianamente martellino nel senso dell'inevitabilità della guerra.
La normalità del male
Ma c'è infine un altra conclusione interessante dell'esperimento: gli S1 che si rifiutavano di continuare l'esperimento presentavano aspetti nevrotici, mentre gli S1 che completavano l'esperimento erano più normali. Ciò riconferma la banalità del male collegata alla normalità.
Mi viene, a questo punto, da farmi una seconda domanda: Come emergevano questi aspetti nevrotici, legati al "danno morale" di avere a che fare con bambini in guerra? … ne scriverò la prossima settimana!
Connesso a:
- Il male è irrazionale o banale? — La banalità del male e la filosofia morale
- Accantonare o riscrivere le scene dolorose della nostra vita? — Elaborazione del trauma e trasformazione del dolore
Leggi anche:
- La psicosi può essere una parentesi, un'esperienza di crescita nel viaggio della vita — Trauma psicologico e percorsi di guarigione
- L'esperienza psicotica di Luigi Gallini, socialmente pericoloso — Psichiatria, società e pericolosità sociale
- La memoria transgenerazionale di Ernst Ingmar Bergman — Come il trauma si trasmette tra generazioni
Domande frequenti
Cos'è il danno morale nei veterani di guerra?
Il danno morale è un tradimento di ciò che è giusto da parte di qualcuno che detiene un'autorità legittima in una situazione ad alto rischio. Nei veterani si manifesta quando percepiscono le decisioni dei superiori come un tradimento dei propri valori morali, causando senso di colpa, vergogna e crisi personali.
Cosa dimostra l'esperimento di Milgram sull'obbedienza?
L'esperimento di Milgram (1961) dimostra che la maggioranza delle persone obbedisce a ordini di un'autorità legittima anche quando questi violano i propri principi morali. Il 65% dei soggetti arrivò a somministrare scosse potenzialmente letali, rivelando la banalità del male e lo stato eteronomico indotto dall'autorità.
Perché le guerre con i droni sono psicologicamente pericolose?
L'esperimento di Milgram dimostra che maggiore è la distanza tra chi infligge violenza e la vittima, maggiore è l'obbedienza a ordini immorali. Nelle guerre con droni la totale assenza di contatto sensoriale tra operatore e vittima facilita l'uccisione, eliminando i freni morali naturali.
Qual è la differenza tra PTSD e danno morale?
Il PTSD si concentra sulle reazioni di paura e terrore dopo un trauma. Il danno morale invece riguarda i dilemmi etici e i conflitti personali vissuti durante le missioni, che portano a disgusto per la guerra, senso di colpa e crisi morali — sintomi che richiedono un approccio terapeutico diverso.