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Il sepolcro vuoto di Antonius Block

I sette sigilli legati alla fine dei tempi: guerra, fascismo e guerra civile, carestia, morte sicura dalle conseguenze del riscaldamento globale, vittimismo, catastrofi naturali e chiacchiere.

Il prequel de Il Settimo sigillo era che Antonius Block, nobile cavaliere svedese si era recato come crociato in Terra santa e, dopo dieci anni, ritorna in Svezia. Siamo, dunque, nel Medio Evo, dominato dalla cultura del terrore del peccato, della colpa e della punizione, proprio dell’Apocalisse di San Giovanni, ma anche di Erik Bergman, il pastore luterano padre di Ingmar. Siamo, in altri termini, nella cultura dell’epoca attuale, che ha sviluppato il terrore della bomba atomica, propria dell’epoca della scrittura de il settimo sigillo. Nello sviluppo per il terrore della bomba atonica non ci facciamo mancare proprio niente dei sette sigilli legati alla fine dei tempi: guerra, fascismo e guerra civile, carestia, morte sicura dalle conseguenze del riscaldamento globale, vittimismo, catastrofi naturali e chiacchiere.

Il settimo sigillo, Ingmar Bergman, 1957

Come viene proposto questo terrore alle suggestionabili menti degli ultimi che saranno i primi?
Nella prima parte dell’Apocalisse si narra che nella sala del trono di Dio c’è un libro a forma di rotolo, scritto sul lato interno e su quello esterno, sigillato da sette sigilli … Un libro praticamente impossibile da aprire e da leggere.

Questo libro contiene il senso vero della Storia e degli eventi umani, che appare come un caos inestricabile di ingiustizie e di perversioni. Di fronte all'incapacità da parte di ogni essere vivente di aprire il libro e di decifrare il mistero che avvolge la sua storia l’uomo si sente angosciato, smarrito, perso nel caos del caso, depresso e infelice. Ma ecco che si avanza l’Agnello immolato (con un po’ d’immaginazione si può arguire a chi allude questo simbolo!), che, ritto in mezzo al trono, con sette corna e sette occhi (dove il numero “7” allude alla totalità), può spezzare i sigilli grazie alla morte / resurrezione.

La seconda parte dell'Apocalisse

La seconda parte dell’Apocalisse è un’invettiva profetica contro i primi persecutori dei cristiani (gli ebrei) e tutti gli imperi della storia (tra cui l’impero romano).

Inizia con l’apertura, uno per volta, dei primi quattro sigilli, accompagnata dall’apparizione di quattro cavalieri: il primo, con un cavallo bianco, rappresentava il flagello della guerra; il secondo, con un cavallo rosso, rappresentava la violenza gratuita e sanguinaria e la guerra civile; il terzo, con un cavallo nero, rappresentava la carestia; il quarto, con un cavallo verdastro, rappresentava la peste e, quindi, la morte sicura. Con l’apertura del quinto sigillo compare la colpa di martirizzare i devoti. Con l’apertura del sesto sigillo il castigo di Dio diventa il terremoto.

Il settimo sigillo, Ingmar Bergman, 1957

Siamo così arrivati al settimo e ultimo sigillo, e all'inizio sembra non succedere assolutamente nulla, perché si fece silenzio in cielo per circa mezz’ora; ma, subito dopo, ai sette angeli che stavano davanti al trono di Dio vengono date sette trombe: ogni angelo suona a turno la sua tromba e le trombe ritmano le sciagure estreme che cadono sulla Terra inerme.

I sette sigilli

I sette sigilli dell’Apocalisse hanno ispirato una vasta gamma di opere d’arte nel corso dei secoli, rappresentando simbolicamente l’epoca e il contesto culturale degli artisti. I mosaici del VI secolo della Basilica di Sant’Apollinare Nuovo a Ravenna rappresentano la processione dei martiri. I codici medievali, come le Bibbie illustrate e i commenti all’Apocalisse - ad esempio, il Commentario all'Apocalisse del Beatus di Lièbana dell'VIII secolo e l’Apocalisse di Bamberg dell’XI secolo - hanno illustrato visioni apocalittiche, i Quattro Cavalieri, terremoti, catastrofi celesti e la vittoria finale del bene sul male. Cimabue affrescò nel 1200 la Visione del trono e libro dei sette sigilli.

Come la rappresentazione artistica dell’Apocalisse influenzò artisticamente Bergman?
Una grande influenza l’ebbe la serie di xilografie intitolate L'Apocalisse rinascimentale Albrecht Dürer, che visse all’inizio della Riforma luterana e che rappresentava la morte come una forza inevitabile che trascende la comprensione umana. Dürer, come Bergman, usava simboli complessi e l’introspezione dei suoi autoritratti al fine d’interrogarsi sulla propria identità frammentata e lottava  contro le forze inarrestabili e si abbandonava alla Melencolia. Ma Dürer concepiva l'Apocalisse come un evento visivamente spettacolare e teologico inserito in un contesto di rinascita culturale e religiosa orientato al trascendente e all’ordine cosmico; per Bergman l'Apocalisse è un evento personale e psicologico, riflesso nella sofferenza e nei dubbi dei suoi personaggi, inseriti in narrazioni intime e spesso atemporali e in un’analisi più agnostica e psicologica, spesso priva di risposte consolatorie.

Il settimo sigillo, Ingmar Bergman, 1957

Un terzo del mare divenne sangue

Un posto particolare è occupato, nella storia dell’arte, da L’apertura del Quinto Sigillo dell’Apocalisse del pittore manierista greco-spagnolo El Greco, che combinava elementi di arte bizantina e rinascimentale mescolando colore e emozione.

Quest’opera ha avuto una significativa influenza sull'arte moderna: molti pittori d’avanguardia studiarono la tela mentre era a Parigi tra il 1907 e il 1909 e Pablo Picasso fu direttamente ispirato dalle figure drammatiche per Les Demoiselles d’Avignon; la visione di El Greco influenzò la stesura di Guernica: il filosofo Georges Bataille aveva pubblicato un articolo corredato da sei illustrazioni, tra le quali quella che colpì Picasso fu l’effetto del diluvio di fuoco che si abbatté sugli uomini, descritta dall’Apocalisse: qualcosa come una grande montagna infuocata fu scagliata nel mare e un terzo del mare divenne sangue, un terzo delle creature che vivono nel mare morì e un terzo delle navi andò distrutto.

Tra i molti artisti rinascimentali e barocchi che hanno esplorato il tema dell'Apocalisse, Michelangelo, nella Cappella Sistina, ne ha raffigurato gli effetti nel  Giudizio Universale.
Salvador Dalì ha esplorato temi apocalittici in opere surrealistiche come Visione apocalittica, mentre alcuni artisti moderni hanno reinterpretato i sette sigilli in forme simboliche o astratte, esprimendo ansie esistenziali e paure moderne.

Il fotografo Sebastiao Salgado, infine, fece nel 1991 uno scatto al pozzo petrolifero di Burhan (Kuwait), incendiato per ordine dell’ormai sconfitto Saddam Hussein e intitolato L’apocalisse.

La principale influenza letteraria, oltre che quella del duo cavaliere-scudiero dell’immenso  Cervantes, era quella di Albert Camus, che s'inserisce di soppiatto nella ribellione creativa dello scudiero Jöns.

Bergman e Camus condividono la riflessione sull’esistenza, sul significato della vita e sull’assurdo, sulle inquietudini dell’uomo moderno, sul confronto con il nulla e sulla ricerca di senso in un mondo spesso percepito come privo di risposte definitive. Camus esprime il concetto di assurdo in opere come Il mito di Sisifo e Lo straniero: l'assurdo consegue al conflitto tra il desiderio umano di senso e il silenzio indifferente dell’universo; la morte è l'inevitabile destino dell’uomo, che rende urgente la ricerca di autenticità e significato nella vita. Camus rifiuta l'idea di un dio tradizionale e considera la religione una risposta insufficiente all’assurdo, tuttavia invita a vivere con dignità e creatività in un mondo senza certezze divine; egli crede che l’arte sia una forma di ribellione contro l'assurdo, un modo per affermare la bellezza e la vita nonostante il vuoto.

La principale influenza teatrale è quella di Il crogiuolo di Arthur Miller, che è del 1953.

Sia Bergman che Miller sono interessati all’oppressione, al senso di colpa, al potere e alla fede.

Ne Il crogiuolo John Proctor, il protagonista, vive sotto il peso della colpa (reale o indotta) e lotta per redimersi e mantenere la propria integrità di fronte a un sistema oppressivo; la religione diventa un’arma di oppressione e ipocrisia, usata per giustificare il controllo sociale e la caccia alle streghe; viene mostrata la repressione sociale durante i processi alle streghe di Salem, un'allegoria del maccartismo. John Proctor rappresenta la lotta per la verità contro la corruzione e il fanatismo e la sua decisione finale di mantenere la propria integrità, anche a costo della vita, richiama i dilemmi morali di Bergman.

Il precedente cinematografico de Il Settimo sigillo è il Dies Irae di Carl Theodor Dreyer del 1943.

Dies Irae analizza il fanatismo religioso e il suo potere distruttivo: la caccia alle streghe è una metafora del controllo sociale esercitato dalla religione, ma in esso c’è anche il desiderio umano di trascendere la mortalità, presenza costante, attraverso la fede. Anne rappresenta la ribellione contro il potere maschile e religioso; la sua relazione con Martin, il figliastro, è un tentativo di liberarsi dalla repressione, ma alla fine è distrutta dalle forze patriarcali e religiose.

Dreyer, come il bianco e nero de Il Settimo sigillo, utilizza una fotografia in bianco e nero straordinariamente espressiva, giocando con l’oscurità e la luce per creare un’atmosfera inquietante e sacrale, che riflette i dilemmi morali e spirituali dei personaggi; egli privilegia un’estetica austera e sacrale, con movimenti di camera lenti e inquadrature fisse che amplificano la tensione drammatica.

Il settimo sigillo, Ingmar Bergman, 1957

Ma l’influenza, mai esplicitata, è quella con il mondo filosofico tedesco di Friedrich Hegel.

Con la figura della coscienza infelice Hegel allude alla coscienza, tipica del cristianesimo medioevale, che non sa di essere tutta la realtà (percepibile, aggiungo io, e non solo con i sensi) e che perciò si ritrova scissa e internamente dilaniata nell’opposizione tra finito e infinito, percepito come verità trascendente e impercepibile, cui tuttavia essa aspira. L’infelicità, così come il pòlemos (il conflitto), è il motore dello sviluppo della storia che procede all’infinito, verso un’autocoscienza conclusa e felice.

La trascendenza è, a ben vedere, una visione schizoparanoide della realtà, sempre alla ricerca di un nemico da cui differenziarsi e sempre tendente a un’utopia al di là del sensibile. Questa sofferenza può concludersi solo con il salto a una visione immanente: il noi - l’umanità, il rispetto - è il divino e l’altro sono io. Lo sviluppo diventa progresso, in quanto sottostà al bene comune, come ha intuito Pier Paolo Pasolini.

Nella coscienza ebraica, invece, il dio è fuori dalla storia, l’essenza è sentita come lontana dalla coscienza dell’uomo: l’imperscrutabile dio è padrone assoluto della vita e della morte verso il quale l’uomo si trova in una condizione di totale dipendenza, come nella distanza medioevale tra il servo e il padrone: l’uomo - l’umanità, la vita sulla terra - è servo del Signore, un essere la cui distanza è incolmabile e l’obbedienza al dio consiste nella prevalenza del popolo eletto sugli altri popoli.

Nel cristianesimo, tuttavia, la trascendenza si addolcisce attraverso la trinità: oltre al dio-padre, c’è il figlio che è un semi-dio, e c’è lo spirito santo, che si diffonde come una colomba, nelle relazione tra gli uomini.

Nella trascendenza ebraica, invece, l’unica risoluzione è l’intuizione mistica (che, a sua volta, è, a ben vedere, una forma diversa di dipendenza): la presunta anima, pur mantenendo la propria individualità, contempla e si fonde con dio. L’unico antidoto a queste cose strampalate, proprie della religione, è una visione immanente, in cui tutti gli esseri realizzano la coesistenza, la più serena possibile attraverso il rispetto delle nicchie ecologiche di ognuno.

Il cristianesimo medioevale, proprio de Il Settimo sigillo, rinuncia al problema ebraico del dio-padrone a favore del dio-incarnato: al dio bizantino giudicante si sostituisce il dio di san Francesco e viene rappresentata la sofferenza del dio crocefisso; dio si è fatto uomo e l’uomo può farsi dio attraverso il sacrificio. Ma questo tentativo di ritorno al divino è destinato al fallimento: il crociato Antonius Block nell’inquieta ricerca di dio trova infine un sepolcro vuoto; il crociato ricerca la concretezza delle tracce di dio sulla terra nel farsi uomo a Gerusalemme e invece scopre il sepolcro vuoto: Gerusalemme è un luogo come un altro ... tanto valeva non partire per la crociata: tante morti e sofferenze per niente! La devozione al dio delle anime o al dio del fare soldi del calvinista l’ha imbrogliato. Ma, nonostante ciò, non si arrende e per sfuggire al quarto sigillo della morte sicura si rifugia nella masturbatoria chiacchiera come difesa dal silenzio del settimo sigillo.

Ma anche Hegel continua nelle chiacchiere masturbatorie ... continua ad analizzare la storia dopo il medio-evo mantenendo la scissione tra corpo e spirito, mantenendo l’Io come tramite verso lo stato.

Se, con Terenzio, Homo homini deus, si vult (L’uomo è, se lo vuole, dio per l’altro uomo), lo scioglimento dei primi quattro sigilli implica la pace, il rispetto tra gli uomini, pari opportunità esistenziali e la vita in equilibrio con i ritmi della terra, mentre lo scioglimento degli ultimi tre sigilli implica una vita beata nel qui e ora, una vita ecologicamente impeccabile e una vita che, per il resto, è, alla maniera di Wittgenstein, silenzio.

È chiedere troppo?


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