Di Adolfo Santoro
L’annullamento dell’Io è la via del maestro zen Dogen: Studiare la via del Buddha è studiare te stesso. Studiare te stesso significa dimenticare te stesso. Dimenticare te stesso significa far prevalere in te l’Altro.
Che cosa ci dice Dogen?
Ci dice che occorre anzi tutto conoscersi, come era scritto all’ingresso del tempio di Apollo a Delfi: Conosci te stesso. Conoscendo noi stessi riconosciamo che, accanto ad aspetti positivi, ci sono problemi di attaccamento, che generano malumore, che limita la nostra libertà interiore. Possiamo così riconoscere che quello che limita la nostra efficacia nelle relazioni è la cristallizzazione di scene irrisolte nella nostra interiorità e che queste cristallizzazioni sono il nemico che proiettiamo fuori di noi e l’aiutiamo a materializzarsi. Iniziamo come essere fondamentalmente sani e fondamentalmente buoni e poi diventiamo il nostro peggior nemico! E il nemico è racchiuso in tre parole, che racchiudono il nostro sé invisibile: Io, Me, Mio.
I figli sono miei!
Nel Dhammapada Buddha trova assurdo tutto ciò: I figli sono miei! La ricchezza è mia!: a tali pensieri uno stolto diviene ansioso. Invero, un sé che possa dirsi mio non esiste e allora come possono dirsi miei i figli e la ricchezza?
Da dove deriva la debolezza di Io, Me e Mio?
L’Io è, e agisce anche, ma non può riconoscersi da solo: ha bisogno di definirsi rispetto a un altro e di essere riconosciuto dall’altro e, se l’altro non è la vita, l’Io finisce per dipendere da qualcun altro in particolare.
Il Me reagisce ed è normale perché sente la sua vulnerabilità.
Il Mio possiede e si aggrappa ai beni materiali, alla vita di altre persone, alle sue amate opinioni e ai suoi schemi fissi di abitudine.
I tre componenti si incastrano in uno stretto complesso, completandosi a vicenda.
Dogen invita a studiare il sé composto dal conglomerato Io-Me-Mio come preludio a farlo diventare, attraverso il respiro, sempre più piccolo. L’Io-Me-Mio deve essere riconosciuto, momento per momento, nelle nostre reazioni della vita quotidiana; dopo che siamo diventati capaci di accettare e riconoscere il ramo secco vedendo l’origine della secchezza, possiamo potarlo. Avendo eliminato un’abitudine consolidata possiamo ri-indirizzare la sua energia sprigionata: non siamo più prigionieri del nostro mondo fantasy, non siamo più prigionieri di Io-Me-Mio.
George Harrison: Io, me, mio, io
Questa consapevolezza era già presente negli anni ’60 e ’70 a livello popolare e George Harrison, il chitarrista dei Beatles, ne fu interprete nella canzone I-Me-Mine l’attaccamento a questo conglomerato:
Per tutto il giorno, io, me, mio, io, me, mio, io, me, mio.
Per tutto il giorno, io, me, mio, io, me, mio, io, me, mio.
Ora loro hanno paura di lasciarlo, tutti lo usano esagerando per tutto il tempo.
Per tutto il giorno, io, me, mio
E a proposito dell’esagerata importanza che diamo all’Io, sempre George Harrison cantava in Within you, without you:
Stavamo parlando dello spazio tra tutti noi e delle persone, che si nascondono dietro un muro d'illusione.
Non intravedono mai la verità, finché è troppo tardi, quando muoiono
Stavamo parlando dell'amore che potremmo tutti condividere
Quando lo troviamo, cerchiamo di fare del nostro meglio per tenerlo, col nostro amore.
Col nostro amore, potremmo salvare il mondo, se soltanto lo sapessero.
Cerca di renderti conto che è tutto dentro di te.
Nessun altro può farti cambiare, e farti vedere che sei davvero solamente molto piccolo.
E la vita va avanti con te e senza di te
Stavamo parlando dell’amore che si è raffreddato.
E delle persone che hanno guadagnato il mondo e perso la loro anima.
Loro non sanno, non vedono, sei uno di loro?
Quando hai guardato oltre te stesso allora puoi scoprire che la pace dei sensi sta attendendo.
E verrà il tempo quando vedrai che siamo tutti soli, e che la vita scorre con te e senza di te.