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La risata interiore

A proposito del leggere e dello scrivere, del silenzio e del gioco di esistere, attraverso Nietzsche.

Foto: N. Zohner, 2024

Di Adolfo Santoro

Se il sorriso rappresenta il silenzio interiore, la risata sarà fino all’ultimo silente e si esprimerà nel gioco scenico. Ne consegue che, poiché in un gruppo bisogna stare sempre dietro all’ultimo, finché anche questi non abbia compreso il senso della vita, la risata interiore guiderà il gioco scenico e aiuterà questi a ridere di se stesso.

Il riso dell’illuminazione dell’ultimo darà l’avvio alla risata generale … e tutti risero. Ne consegue anche che la risata aperta sarà possibile o in solitudine, al contatto degli Esseri non-umani, oppure in quello che Buddha chiama lo sangha, il rifugio, la privacy di esseri con comunità di amorosi sensi. Insomma, come recita il proverbio, ride bene chi ride ultimo!

Scrive Friedrich Nietzsche in Così parlò Zarathustra a proposito del leggere e dello scrivere:

In montagna il sentiero più breve conduce di vetta in vetta; ma ci vogliono buone gambe per seguirlo. Gli aforismi devono essere culmini: e quelli a cui son detti, uomini alti e robusti.
L’aria rarefatta e pura, il pericolo vicino e lo spirito avvivato da una gioconda malizia: son cose che s’accordano insieme.
Voglio intorno a me dei folletti, perché io son coraggioso.
Il coraggio che scaccia i fantasmi, si crea dei folletti – il coraggio vuol ridere.
Io non sento più come voi: questa nube che vedo ai miei piedi, questa cosa oscura e pesante della quale io rido – è per voi nube di tempesta.
Voi guardate in alto quando bramate esaltarvi. Ed io guardo al basso, perché sono già esaltato.
Chi di voi sa ad un tempo esaltarsi e ridere?
Chi è salito sui monti più alti, ride di tutte le tragedie della scena e della vita.
Incuranti, beffardi, violenti, così ci vuol la pazienza: essa è donna ed ama sempre soltanto i guerrieri.
Voi mi dite: «la vita è difficile a sopportare». Ma che vi servirebbe allora il vostro orgoglio la mattina, e la vostra rassegnazione la sera? La vita è difficile a sopportare: ma non siate dunque così delicati! Noi tutti siamo asini carichi di pesi.
Che cosa abbiamo noi di comune col bocciolo di rosa, che trema perché oppresso da una goccia di rugiada? – Amiamo la vita non già perché assuefatti alla vita, ma perché avvezzi ad amare.
Vi è sempre un po’ di follia nell'amore. Ma c'è sempre anche un po’ di ragione nella stessa follia.
E anche a me, che amo la vita, le farfalle e le bolle di sapone e tutto ciò che loro rassomiglia tra gli uomini, sembra conoscere nel miglior modo la gioia.
Veder svolazzare codeste animule leggere, svelte, graziose, seduce Zarathustra alle lacrime e al canto.
Crederei solo a un Dio che sapesse danzare.
E quando guardai il mio demonio, lo trovai serio, pesante, profondo, solenne: era lo spirito della gravità – e a causa sua cade ogni cosa.
Non con la collera, ma col riso si uccide. Uccidiamo allora lo spirito della gravità!
Ho imparato a camminare: da quel tempo mi piace correre. Ho imparato a volare: da quel tempo non mi piace esser spinto, per trasportarmi da un luogo.
Ora sono leggero, ora volo, ora io mi vedo al di sotto, ora in me danza un Dio.

E nella poesia Fra amici Nietzsche aggiunge:

Bello è stare in silenzio insieme,
ancor più bello ridere assieme –
sotto il panno di seta del cielo,
giù nel muschio, chino su un libro,
rider forte e cordiale fra amici
e scoprire il biancore dei denti.
Se io sono riuscito, stiamo in silenzio,
se ho fallito – ridiamoci sopra
e facciamo ancora di peggio,
sempre peggio, ridere e fare,
finché nella fossa scendiamo.
Sì, amici! Così deve andare? –
Amen dunque! E arrivederci!

Ancora, in Umano, troppo umano Nietzsche scrive di un dialogo tra il filosofo Pirrone e un vecchio:

Pirrone si volta e ride. – Il vecchio: Ah, amico! Ridere e stare in silenzio – è questa adesso la tua filosofia? – Pirrone: Non sarebbe la peggiore.

E in La gaia scienza ragionava così a proposito del gioco di esistere:

La coscienza dell’apparenza. In che modo meraviglioso e nuovo e insieme tremendo ed ironico mi sentivo posto con la mia conoscenza dinanzi all’esistenza tutta! Ho scoperto per me che l’antica umanità e animalità, perfino tutto il tempo dei primordi e l’intero passato di ogni essere sensibile, continua dentro di me a meditare, a poetare, ad amare, ad odiare, a trarre le sue conclusioni, - mi sono destato di colpo in mezzo a questo sogno, ma solo per rendermi cosciente che appunto sto sognando e che devo continuare a sognare se non voglio perire: allo stesso modo in cui il sonnambulo deve continuare a sognare, per non piombare a terra. Che cos’è ora, per me, apparenza! In verità, non l’opposto di una qualche sostanza: che cos’altro posso asserire di una qualche sostanza, se non appunto i soli predicati della sua apparenza? In verità, non una maschera inanimata che si potrebbe applicare ad una X sconosciuta e pur anche togliere! Apparenza è per me ciò stesso che realizza e vive, che va tanto lontano nella sua autoderisione da farmi sentire che qui tutto è apparenza e fuoco fatuo e danza di spiriti e niente più; che tra tutti questi sognatori anch’io, l’uomo della conoscenza, danzo la mia danza; che l’uomo della conoscenza è un mezzo per tirare in lungo la danza terrena ed in questo senso fa parte dei soprintendenti alle feste dell’esistenza; e che la sublime consequenzialità e concomitanza di tutte le conoscenze è, forse, e sarà il mezzo più alto per mantenere l’universalità delle loro chimere di sogno e la generale comprensione reciproca di questi sognatori e con ciò appunto la durata del sogno.

A tale proposito, Massimo Cacciari commenta:

Il concetto è propriamente catturare-comprendere il tempo. Contenuto dell’atto del begreifen, del Begriff, è il divenire. Ciò che nel discorso si vuole togliere-superare è il divenire, il puro divenire delle cose che si manifestano nel tempo…

Occorrono, però, comunque i tempi comici, come recita la nota frase attribuita a Nietzsche: Non si può ridere di tutto e di tutti, ma ci si può provare.

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