Di Adolfo Santoro
Bergman ha scritto e girato Il settimo sigillo e Il posto delle fragole in sequenza, senza un attimo di respiro tra i due: sono un continuum e raccontano un viaggio finale dei protagonisti da un luogo a un altro, che occupa una sola giornata molto lunga (circa dall’alba all’alba). Ma in effetti ciò che sembra lineare è parte di un viaggio più complicato, che, come nelle fiabe, inizia a casa, vaga lontano e infine ritorna da dove è iniziato.
Nei due film vediamo l’ultima fase del viaggio, che dovrebbe essere quella di e vissero felici e contenti.
Per Bergman, un compito centrale della vita adulta è tornare al proprio passato e recuperare in qualche modo qualcosa di essenziale nella vita che è stato perso. È questo ritorno che ci permette di morire al passato e di vivere due volte. La morte esterna non è di per sé una fonte di disperazione per lui, né la mortalità è la fonte della morte interiore. Entrambi sono fondati su qualcos’altro: l’abbandono, la fine dell’infanzia, che è la prima morte. Per Hegel è scoprire che il sepolcro, dove doveva esserci Gesù, è vuoto; in Bergman, che pure è stato influenzato, come tutti i popoli nordici, dalla cultura tedesca, c’è qualcosa di più: oltre all’esperienza di essere stato lasciato solo e quindi di essere stato lasciato nell’isolamento e di non potersi aprire alla solitudine, c’è l’esperienza di essere stato tradito (adottato?). Ma già l’esperienza dell’abbandono infantile è sufficiente per sentire la mancanza di ciò su cui si faceva affidamento o fallire il compito del bambino di aiutare la rinascita del mondo: crolla la sicurezza del mondo, le cui verità diventano remote e inaffidabili. Queste fonti di sicurezza – il caregiver, altri co-dipendenti, Dio, le istituzioni, le ideologie, l’arte – si rivelano ora inadeguate. L’amore e la fede riposti in essi sono stati mal riposti e si è lasciati isolati. Ne conseguono il collasso e lo smarrimento del reale: vacillano la gioia, la responsabilità, il coraggio e la calma di essere vivi, l’infelicità soppianta la felicità, il senso di vivere è smarrito nella disperazione e lo spirito muore. Di conseguenza, il mondo diventa un cupo silenzio, un cupo deserto.
La disperazione infantile del caregiver riemerge nella rigidità spirituale, espressa dal bianco e nero del film e dalle ambientazioni che scolpiscono l’isolamento e il senso di sterilità interiore. Il mondo è coartato e gli orizzonti sono ristretti; la sopravvivenza può continuare, ma non diventare vita; la vita senza piacere, senza bambini, può essere solo sopportata o sofferta.
Antonius Block, nobile Cavaliere svedese, torna al luogo natio dopo una crociata di dieci anni in Terrasanta. Il prologo della storia è che Raval - Doctor Mirabilis et Diabolicus del seminario di Roskilde - convinse Antonius che bisognava andare in Terra Santa per una nobile crociata. Il film è l’epilogo della storia.
Dalla sceneggiatura de Il Settimo Sigillo
È l’alba. Sulla spiaggia, sdraiato su rami d’abete sulla sabbia, Antonius, dopo una notte senza sonno, spalanca gli occhi arrossati; si alza, entra nell’acqua bassa, dove si sciacqua il viso bruciato dal sole e le labbra screpolate. Poi torna sulla spiaggia e cade in ginocchio. Con gli occhi chiusi e la fronte corrugata, recita la sua preghiera del mattino. Tiene le mani giunte con forza e le labbra formulano parole inudibili. Il volto è triste e amaro. Apre gli occhi e fissa dritto il sole, che rotola sul mare nebbioso come un pesce gonfio e morente. Il cielo è grigio e immobile, una cappa di piombo. Una nuvola densa e scura sovrasta l’orizzonte a occidente. In alto, appena visibile, un uccello di mare plana su ali immobili. Il suo grido è strano e inquieto. Il grande cavallo grigio del Cavaliere alza la testa e nitrisce.
C’è ancora tempo prima che ai mortali sia concesso di conoscere la verità ultima
Il film inizia con un gong che precede i titoli di testa, al termine dei quali inizia il Dies irae, che annuncia la presenza di questo uccello che si libra immobile nell’aria nel cielo scuro, guardando dall'alto ciò che sta accadendo sulla terra. È la colomba dello Spirito Santo? Un gabbiano? Un falco? Simbolo del divino perché situato a un livello superiore, l’uccello è anche l’incarnazione di una divinità distante e silenziosa. Tutto dà il senso che il tempo del mondo si sia fermato. Una voce maschile in sottofondo recita un versetto dell’Apocalisse: Quando l’Agnello aprì il settimo sigillo, si fece silenzio nel cielo per circa mezz’ora. E i sette angeli che avevano le sette trombe si prepararono a suonare. La mezz’ora di silenzio è anche la tregua tra il suono della tromba che annuncia la fine di tutte le cose e la rivelazione di tutti i segreti mondani, che saranno portati dalla Seconda Venuta di Cristo. Questa tregua è data agli uomini per prendere coscienza dell’impatto dei loro peccati e per pentirsi e imparare finché c’è ancora tempo prima che ai mortali sia concesso di conoscere la verità ultima, la verità divina.
Qual è la verità che il Cavaliere non ha compreso nel prologo e che deve imparare?
Ha abbandonato la moglie Karin (che è anche il nome della madre – adottiva? – di Ingmar, mentre Antonius adombra la figura di Erik, il padre di Ingmar) e deve ripristinare il suo matrimonio! Ma il suo tempo è scaduto e può solo riunirsi a Karin per aspettare la loro fine insieme. Tuttavia, Antonius può salvare qualcun altro, può barattare la propria salvezza con quella di un altro, un parziale compimento del progetto dell’eroe: possono essere salvate la vita di una sacra famiglia, quella formata da Jof, da sua moglie Mia e dall’infante Mikael.
Jof è impersonato da Nils Poppe, un attore comico alla sua prima prova drammatica: il personaggio interiore di Ingmar è la parte artistica e fantasiosa di Ingmar . Mia è impersonata da Bibi Andersson, che, all’epoca in cui è stato girato il film, il 1956, esordiva sia come compagna-cargiver, sia come attrice nella vita di Ingmar. Mikael è l’alter ego della Morte e con lei il vero protagonista del film.
Antonius è una fortezza dell’isolamento, dedicata a escludere e a eludere il vero coinvolgimento con gli altri: gli scacchi (nell’attualità il gioco di ruolo giocato telematicamente di notte, come fanno gli Asperger che hanno la propria guida cerebrale nell’emisfero sinistro, mentre l’emisfero destro, che dovrebbe essere in contatto con la Vita, è disperatamente deserto) sono il simbolo efficace della depressione opprimente, helplessness (senza possibilità di chiedere aiuto) e hopelessnes (senza speranza).
Oltre che nel suo rapporto con la perdita della Sacra Famiglia, Antonius ha il rapporto con altri personaggi interiori: la Morte, il Diavolo e Dio.
Il rapporto con la Morte.
La Morte gli si presenta subito. Il Cavaliere ha aperto il sacco per riporvi e per riprendere il cammino, ma una figura gli si fa incontro, pallida, spettrale, avvolta in un lungo mantello nero.
- Chi sei tu? chiede il cavaliere, la voce ferma e pacata, ormai senza paura.
- Sono la Morte. risponde la figura col mantello
- Sei venuta a prendermi?
- È già da molto che ti cammino a fianco.
- Me n’ero accorto.
- Sei pronto?
- Il mio spirito lo è, non il mio corpo.
Il Cavaliere s’è alzato in piedi a fronteggiare meglio il suo potente interlocutore. La Morte avanza e dispiega il mantello come se fossero ali e oscurando lo schermo.
- Dammi ancora del tempo.- Tutti lo vorrebbero. Ma non concedo tregua.
- Tu giochi a scacchi, non è vero?
- Come lo sai?
- Lo so. L’ho visto nei quadri, lo dicono le leggende.
- Sì, anche questo è vero, come è vero che non ho mai perduto un gioco.
- Forse anche la Morte può commettere un errore.
- Per quale ragione vuoi sfidarmi?
- Te lo dirò se accetti.
- Avanti allora...
I due siedono alla scacchiera e si studiano in silenzio.
- Perché voglio sapere fino a che punto saprò resisterti, e se dando scacco alla Morte avrò salva la vita.
Riprende il Cavaliere. Ha preso in mano due pedoni e sorteggia le parti.
- Ti tocca il nero.
- Si addice alla morte, non credi?
Ora i pezzi sono sistemati nella posizione d'inizio.
Un secondo incontro con la Morte è in un santuario, dove il Cavaliere si è inginocchiato ai piedi di un grosso crocefisso in legno; il viso di Cristo è la maschera del dolore.
Ai lati, due feritoie lasciano entrare sottili lame luminose, il cui riflesso si diffonde per la navata.
I rintocchi della campanella cadono nel silenzio come lacrime in uno stagno morto.
Ora il Cavaliere è in piedi. Lungo una parete laterale, al di là di una pesante grata di ferro, si intravede la figura incappucciata di un religioso. Il crociato lo ha scorto, gli si avvicina.
- Vorrei confessarmi ma non ne sono capace, perché il mio cuore è vuoto. Ed è vuoto come uno specchio che sono costretto a fissare. Mi ci vedo riflesso e trovo soltanto disgusto e paura. Vi leggo indifferenza verso il prossimo, verso tutti i miei irriconoscibili simili. Vi scorgo immagini di incubo, nate dai miei sogni e dalle mie fantasie.
- Non credi che sarebbe meglio morire?
- È vero.
- Perché non smetti di lottare.
- È l'ignoto che mi atterrisce.
- Il terrore è figlio del buio.
- Che sia impossibile sapere?
L'ombra della grata che si staglia netta sul muro evoca l'immagine di una prigione. Il Cavaliere è chiuso nella prigione. Dall'altra parte, il religioso. No, non è un religioso. Ora lo si vede in viso. Dall’altra parte della grata, fuori della prigione, c’è la Morte.
Gli occhi del Cavaliere cercano quelli del Cristo in legno, immutabilmente fissi.
Ma perché ... perché non è possibile cogliere Dio coi propri sensi? Per quale ragione si nasconde fra mille e mille promesse e preghiere sussurrate, incomprensibili miracoli. Perché io dovrei avere fede nella fede degli altri? Che cosa sarà di coloro i quali non sono capaci né vogliono avere fede? Perché non posso uccidere Dio in me stesso? Perché continua a vivere in me, sia pure in modo vergognoso e umiliante, anche se io lo maledico, e voglio strapparlo dal mio cuore? E perché nonostante tutto Egli continua ad essere uno struggente richiamo di cui non riesco a liberarmi? Mi ascolti?
- Certo. risponde la Morte. Il Cavaliere non l’ha ancora riconosciuta.
- Io vorrei sapere, senza fede, senza ipotesi, voglio la certezza. Voglio che Iddio mi tenda la mano e scopra il suo volto nascosto, e voglio che mi parli.
- Il suo silenzio non ti parla?
- Lo chiamo e lo invoco e se Egli non risponde io penso che non esiste.
- Forse è così, forse non esiste.
- Ma allora la vita non è che un vuoto senza fine. Nessuno può vivere sapendo di dover morire un giorno come cadendo nel nulla, senza speranza.
- Molta gente non pensa né alla Morte né alla vanità delle cose.
- Ma verrà il giorno in cui si troveranno all’estremo limite della vita.
- Sì, sull’orlo dell'abisso.
- Lo so. Lo so ciò che dovrebbero fare. Dovrebbero intagliare nella loro paura un’immagine alla quale dare poi il nome di Dio.
- Sei molto agitato.
- Stamane è venuta da me la Morte. Abbiamo iniziato una partita a scacchi. Col tempo che guadagnerò sistemerò una faccenda che mi sta a cuore.
- E di che si tratta?
- Ho passato la vita a far la guerra, a andare a caccia, ad agitarmi, a parlare senza senno, senza ragione... un vuoto. E lo dico senza amarezza e senza vergognarmene. Perché lo so che la vita della maggior parte della gente è tale. Ma ora voglio utilizzare il respiro che mi sarà concesso per un’azione utile.
- Per questo hai sfidato a scacchi la morte?
- Sì. Conosce il gioco molto bene, ma fino a questo momento io non ho perso una pedina.
- E credi davvero che alla fine riuscirai a batterla?
- Adopero una tattica che evidentemente essa ignora. Al nostro prossimo incontro porterò un attacco sul fianco.
- Lo terrò presente.
La Morte lascia che il Cavaliere la veda in viso e la riconosca. La mano del Cavaliere stringe con rabbia il ferro della grata.
- Ti stai beffando di me... ma non mi fai paura! Ne sono certo, troverò il modo di batterti.
- Ci rivedremo alla locanda e lì continueremo la partita.
La Morte se ne è andata. Il Cavaliere ha fiducia nella propria forza.
- Questa è la mia mano. Posso muoverla e in essa pulsa il mio sangue. Il sole compie ancora il suo alto arco nel cielo e io... io, Antonius Block, gioco a scacchi con la Morte.
Il Cavaliere elude l’invito della Morte di rivedersi alla locanda, dove invece, al loro posto troviamo, Raval, il diabolico servo della morte, e Jof, l’angelico servo della Vita.
Ritroviamo il Cavaliere, accanto alla scacchiera e, subito dopo, a conversare, alla presenza di Mikael, con Mia; e poi sono raggiunti da Jof e Jöns … e gustano fragile di bosco e latte appena munto. Qui non c’è traccia della Morte, ma solo della Vita.
La Morte in una scena successive
Il Cavaliere ha lasciato il gruppo ed è tornato accanto alla scacchiera.
- Ti stavo aspettando. dice la Morte.
- Mi dispiace, sono stato trattenuto. Dato che ti ho svelato i miei piani batterò in ritirata. Avanti, tocca a te.
- Perché così soddisfatto?
- È il mio segreto.
- Va bene. Allora io ti soffio il cavallo, eh?
- Oh, niente di più giusto.
- Mi hai messo in trappola?
- Esattamente. Ci sei caduto in pieno. Ecco. Scacco al re.
- Perché ridi? chiede la Morte.
- Non preoccupartene, salva il tuo re, piuttosto.
- Stai diventando arrogante.
- Questa partita mi diverte molto.
- Su, tocca a te. Cerca di fare presto, che ho fretta.
- Capisco che hai molte cose da fare, ma gli scacchi sono gli scacchi. È un gioco che richiede tempo.
- Davvero accompagnerai quei saltimbanchi nella foresta questa notte? Voglio dire... Jof e Mia e il loro figlioletto?
- Perché me lo chiedi?
- Per niente.
La Morte ricompare in una scena successiva e la sua facile vittima è Jonas Skat, il capocomico
Skat è l’alter ego del fedifrago e capocomico Ingmar - che ha finto di uccidersi con un pugnale da teatro a lama rientrante per sfuggire alle conseguenze delle sue malefatte.
Se ne sono andati tutti, e il capocomico cadavere è solo sotto la quercia.
- Ecco fatto. Sono un grande attore.
Si tira su a sedere e si toglie la barba finta.
- Adesso mi arrampicherò su di un albero e così almeno passerò la notte al sicuro.
Mentre dice queste parole da dietro un cespuglio è sbucata la Morte.
Jonas non l’ha vista. Sceglie un albero facile da scalare e si sistema su una biforcazione dei rami più grossi.
- Là. Domattina cercherò Jof e Mia, e assieme partiremo per la sagra di Elsinore. Meno male che è andata a finire bene.
Canticchia: Quand'ero giovanotto me n'andavo tutto solo...
Ode il rumore di una sega.
- Dei boscaioli? Accidenti, ma stanno tagliando proprio il mio albero! Ehi, voi, tagliaboschi, che state facendo al mio albero?
La Morte continua senza degnare Jonas di una parola.
- Non potreste almeno rispondere? La cortesia non costa niente. Ehi, ma che sei tu?
- Sto abbattendo il tuo albero. Non sai che la tua ora è giunta?
- No, aspetta, ti prego. Non è questo il modo.
- Ah, e che modi vorresti?
- Ah, beh, ecco, vedi... fra poco c'è lo spettacolo.
- Ma sarà sospeso. Per la morte dell'attore.
- Ma se ho un contratto...
- Annullato.
- Beh, sì, ma la famiglia, i bambini...
- Su, dovresti vergognarti, Skat.
- Sì, sì, sì, giusto, mi vergogno. E mi pento, mi pento. Ma... non c’è qualche scusa? Qualche particolare eccezione per gli attori?
- No, no, niente. Nessuna eccezione.
- Niente scappatoie? Nessun rimedio?
La Morte continua la suo opera fino a che il tronco crolla con uno schianto.
Il Cavaliere davanti alla scacchiera studia la prossima mossa.
- Tra poco farà giorno, eppure il caldo è ancora come un’umida coltre.
Accanto al Cavaliere è comparsa la Morte.
- Allora... vogliamo finire la nostra partita? chiede la Morte.
- Tocca a te. risponde il Cavaliere.
La Morte sorride soddisfatta.
- Ora ti soffio la regina. dice la Morte.
- Non me n’ero accorto. replica abulico il cavaliere.
Jof sta osservando la scena.
- Mia! Vedo una cosa terribile, una cosa che non so come dirti.
- E che cos’è?
- Il Cavaliere è laggiù che gioca a scacchi.
- Lo vedo anch’io, e non capisco che cosa ci sia di tanto terribile.
- Ma non vedi con chi gioca?
- Sta divertendosi da solo. Ma perché mi spaventi così?
- No, no, no, non è vero che è solo.
- E con chi è?
- Con la Morte. Gioca a scacchi con la Morte in persona.
- Non devi dire queste cose.
- Dobbiamo cercare di andarcene.
- E come possiamo fare?
- Bisogna tentare comunque. Sono così immersi nel gioco che forse non se ne accorgono.
Mia e Jof raccolgono le loro cose, mettono sul carro il figlioletto Mikael e salgono anch’essi in gran fretta. Si allontanano furtivi, sperando che la Morte non se ne accorga.
- Tocca a te, Antonius Block. Hai perso interesse alla partita? chiede la Morte.
- Perso interesse? Per niente.
- Ti vedo preoccupato. Di che si tratta?
- Niente ti sfugge, vero?
- Niente mi sfugge. Allora... cos’è che ti tormenta?
- È vero, sono preoccupato.
- Hai paura?
Con un movimento maldestro il Cavaliere rovescia la scacchiera. Forse sta creando un diversivo per coprire la fuga dei saltimbanchi.
- Scusa. Questo mantello è così ingombrante.
- Non preoccuparti. lo tranquillizza la Morte. Ricordo benissimo dove stavamo... rimettono a posto i pezzi ... e ti devo dare una notizia interessante.
- E cioè?
- Che ho vinto! Ti do scacco matto.
- È vero.
- Ti è stato d’aiuto questo rinvio?
- Ah, sì, certo.
- Ne sono lieto. E adesso ti lascio. Quando ci rincontreremo sarà giunta l'ultima ora. Per te e i tuoi compagni di viaggio.
- E tu ci svelerai i tuoi segreti?
- Io non ho alcun segreto da svelare.
- Allora non sai niente?
- Non mi serve sapere.
Nella scena successiva i Personaggi in cerca d’Autore – Antonius, Jöns e la sua ragazza, Jonas e Lisa - arrancano fino al castello del Cavaliere.
Qui trovano Karin e, dopo che le tre coppie si sono ricompattate, compare la Morte, alla cui comparsa ognuno reagisce come sa. Tutti, tranne la ragazza di Jöns, che non ha parlato per tutto il film (come, del resto, aveva fatto, nella prima stesura teatrale un cavaliere cui i Mori avevano tranciato la lingua) e che ora s’è inginocchiata, apparentemente sollevata, ma con un’ombra che le ha coperto il giovane viso; dice: L’ora è venuta, come a dire che per lei, il cui corpo è stato solo un oggetto per le attenzioni altrui, la Morte potrebbe essere l’unica via di fuga sensata.
Jof vede al di là del visibile.
Vede i Personaggi in cerca d’Autore, ma non ci sono due donne (Karin e la ragazza di Jöns), sostituite da due uomini (Raval e Jonas Skat).
- Mia! Li vedo, Mia! Laggiù, contro quelle nuvole scure. Sono tutti insieme, il fabbro e Lisa, il Cavaliere e Raval, e Jöns, e Skat e la Morte austera li invita a danzare. Vuole che si tengano per mano, e che danzino in una lunga fila. In testa a tutti è la Morte, con la falce e la clessidra. E Skat, ah-ah, è l'ultimo, e ha la lira sotto il braccio. Danzano solenni, allontanandosi lentamente nel chiarore dell’alba verso un altro mondo ignoto, mentre la pioggia lava quieta i loro volti e terge le loro guance dal sale delle lacrime.
Mia scuote la testa sorridendo e stringendo a sé il piccolo Mikael.
- Ah, tu, sempre con i tuoi sogni e le tue visioni.
- C’è ancora molta strada da fare e il sole è già alto.
Jof e Mia si sono messi in cammino.