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Il linguaggio si deve adattare ai fatti

Ci si maschera dietro la convinzione di voler difendere un’identità. L’identità invece ne esce rafforzata, non indebolita, dal confronto con la diversità.

Le nostre parole significano, sono azione, resistenza.
Il linguaggio è anche un luogo di lotta.
bell hooks

Il linguaggio si deve adattare ai fatti

di Dario Migliavacca


L'autore ha scelto di usare il simbolo Ə, chiamato 'scevà (schwa)', in sostituzione a forme grammaticali e/o lettere che definirebbero un sesso preciso.


Tempo fa lessi da qualche parte un’informazione molto interessante rispetto al tema del linguaggio e alla sua evoluzione: le lingue antiche contengono più vocaboli di quelle moderne. Abbiamo dunque operato delle limitazioni del nostro linguaggio?

Forse abbiamo contribuito a un suo impoverimento, e così facendo abbiamo limitato anche il nostro mondo, il nostro sguardo su ciò che ci circonda.  L’approccio ipertecnologico e digitale, l’uso a volte spropositato di una lingua comune a livello globale, quella inglese, e la necessità di circoscrivere la complessità e l’incoerenza di quello che vediamo, indubbiamente ci spinge a ricorrere, per nostra sicurezza, a operare una selezione all’interno di questa complessità.

Questo ci ha fatto sviluppare un’attitudine poco aperta al nuovo che arriva, alla comprensione del mondo, alle diversità e all’inclusione. Ed è così allora che ci si scalda di fronte a proposte come quella di sostituire il generico Buone Feste al più specifico Buon Natale. Non si pensa minimamente al fatto che per alcune persone di religione non cristiana o atee il periodo a metà fra dicembre e gennaio possa rappresentare semplicemente uno stacco dal lavoro in un momento e in un contesto in cui la maggioranza delle persone celebra il Santo Natale.

È chiaro quale sia il comune sentire, lo dimostra la profusione di alberelli decorati (sulla cui natura cristiana avrei comunque qualche dubbio) o di presepi in circolazione e il generale clima di bontà (perdona un po’ d'ironia) che pervade tuttƏ quantƏ. Dobbiamo far pesare ancora di più a chi non condivide questo tipo di cultura e di usanze un periodo di per sé già non facile?

Stesso discorso per chi invoca una maggiore attenzione all’uso più attento e consapevole del genere maschile e femminile (la lingua italiana, un tantino maschilista, non aiuta in questo senso). Che dire poi del provare a sostituire i termini papà e mamma con il termine più inclusivo genitori? Mi spingo oltre: c’è chi prova a mostrare rispetto nei confronti di chi, sebbene la cultura e la burocrazia lo impongano, non si riconosce in una distinzione binaria di genere uomo/donna (transgender, intersessuali, dove lƏ mettiamo?).  

Ci si maschera dietro la convinzione di voler difendere un’identità. Ben venga questo ma, a mio avviso, l’identità ne esce rafforzata, non indebolita, dal confronto con la diversità.

A me cattolico cosa toglie il dire buone feste? Mi posso definire cattolico proprio in quanto esistono persone non cattoliche. Per me, le mie feste saranno sempre rappresentate dal Natale e dal significato che do a questa ricorrenza. Non sarà mai meno sentito per via di un gesto di apertura nei confronti di chi non gli attribuisce la stessa mia importanza.

Non parliamo del linguaggio ancora purtroppo inappropriato che utilizziamo nei confronti di chi appartiene a un' etnia diversa o alle persone con disabilità. Qui la strada da percorrere è ancora tanta e alla base, mi spiace ammetterlo, c’è ancora un Bias o la convinzione che esista un meglio e un peggio. Quando invece si tratta semplicemente di caratteristiche, e semmai di bisogni, diversi.

È come se fossi da anni seduto su una sedia di fronte a una finestra aperta: da questa finestra si è sempre vista una grossa casa gialla. Passa il tempo e il paesaggio cambia: sono cresciuti degli alberi, sono state costruite altre case, il traffico è aumentato e con esso anche il rumore, persino quella casa non è più gialla, col tempo si è un po’ sbiadita. Nonostante questo, io quello che continuo a vedere e a descrivere attraverso il mio linguaggio è sempre la stessa grossa casa gialla. Se poi mi alzo dalla sedia e mi accosto alla finestra, se provo a cambiare il punto di osservazione, potrei scorgere la strada di sotto, i marciapiedi, i negozi e le tante persone che animano il quartiere. Ma nonostante questo io continuo a vedere, e a raccontare, solo ed esclusivamente quella grossa casa gialla perché mi è più familiare, rappresenta il mio mondo, quello che ho sempre visto dalla mia finestra. Incurante dei cambiamenti e delle trasformazioni rimango fedele all’immagine che ho del mondo dalla mia finestra.

Mi verrebbe da dire che dovrebbe essere il linguaggio a doversi adattare ai fatti e non l’inverso. Cosa ne pensi?


(... continua nella prossima newsletter BACKSTAGE Magazine #49 del 26 dicembre 2021)

Dario Migliavacca, Professional Coach, Counselor e D&I advocacy per una multinazionale


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